Da qualche settimana, la domenica sera dopo Storie, su RSI La1 va in onda un nuovo programma. Si intitola la 25° ora. Una piccola troupe ha girato la Svizzera sulle tracce delle storie della notte. Racconti dal sapore diverso, intimi ed eccezionali.
Con l’ideatore e produttore del programma Nick Mottis abbiamo voluto approfondire la genesi di questa piccola perla.
Come è nata l’idea di questo nuovo format RSI? E il titolo che avete preso da un film che significato ha? L’idea mi è venuta un paio di anni fa, quando ho passato molto tempo in giro per la Svizzera durante il secondo lock down. Stavamo girando un programma chiamato Destinazione: Svizzera e a causa dell’emergenza pandemica eravamo quasi sempre all’aperto. Bar e ristoranti erano ancora chiusi. In quei giorni intensi e surreali, mi sono trovato più volte a camminare di notte per le vie quasi deserte delle nostre città. Eppure nelle finestre degli edifici scorgevo luci, silhouettes, movimenti, vita, insomma. Ogni sera partivano mille interrogativi su cosa facessero queste persone e che storie si celassero dietro alle facciate delle loro case. Da qui l’idea di entrare, anche se solo per poco tempo e timidamente, a sbirciare in quei luoghi e a far parte di quei mondi.
Come avete poi sviluppato l’idea iniziale? E i personaggi come sono stati scelti? Ci siamo ispirati ad un sacco di format esistenti, soprattutto per cercare di distinguerci e proporre qualcosa di nuovo e originale; sempre più difficile di questi tempi di grande concorrenza narrativa! Con l’aiuto di Silvia Spiga in redazione, che ha partecipato allo sviluppo dell’idea, ci siamo chinati sulla tipologia di personaggi che avremmo voluto conoscere. Eravamo d’accordo che avremmo dato la precedenza a tutti coloro che generalmente non trovano spazio per raccontarsi nei nostri programmi. Nessuno sarebbe stato troppo eccentrico o troppo originale. La direzione RSI ha subito accolto con entusiasmo questa proposta, che si inserisce in una più ampia strategia di coesione nazionale. Il nostro regista, Riccardo Ferraris ha poi ideato scelte stilistiche in piena linea con l’originalità del prodotto. Scelte coraggiose, come la colonna sonora caratterizzata da brani tipici della disco music degli anni ottanta! In fase di produzione il team si è poi allargato, accogliendo in redazione Carla Clavuot e Roberta Nicolò. Artur Schmidt ha affiancato Riccardo alla regia. Ogni membro del piccolo team di lavoro ha portato le proprie idee e la propria sensibilità.
Ogni puntata delle dieci previste dura circa mezzora. Come mai questa scelta considerando il fatto che per ogni puntata ci sono diversi personaggi? Si riesce comunque a sviluppare le storie? Il programma è stato concepito per essere trasmesso inizialmente in seconda serata. Volevo creare un format che potesse essere veloce, facilmente fruibile da tutti e sufficientemente ritmato così da non far addormentare gli spettatori. Tutto questo senza comprometterne le storie e i contenuti. Credo che siamo riusciti in questo intento. Il pubblico ce lo dirà.
Il popolo della notte è abbastanza diverso da quello diurno. Secondo voi che cosa emerge dal mondo notturno svizzero? L’elemento che mi ha più sorpreso è che spesso il popolo della notte è invece il medesimo di quello diurno, ma all’imbrunire, si trasforma. Per esempio, abbiamo incontrato il campione svizzero di wrestling che di giorno insegna latino all’università. Da buon mattiniero (come tanti altri svizzeri) ho sempre ammirato tutti quelli che durante la notte sono in grado di utilizzare il proprio tempo per vivere, magari diversamente, abbracciando la propria creatività e i propri desideri. Con piacere ho poi capito che anche la mattina presto, almeno d’inverno, fa ancora parte della notte. A Zurigo abbiamo incontrato un monaco Zen che medita proprio a ridosso dell’alba. Questo progetto ha costituito inoltre un’ottima occasione per portare un po’ di diversità sui nostri schermi. Diversità che sempre di più caratterizza la società elvetica in cui viviamo.
Dal punto di vista tecnico come è stata la preparazione e la lavorazione? Che tipo di strumenti avete usato? Abbiamo optato per due punti macchina: uno a mano e uno su stabilizzatore. Proseguendo sul fil rouge della colonna sonora, sono state utilizzate lenti Canon FD e FL risalenti alla metà degli anni ottanta, che hanno creato un look del tutto originale e irraggiungibile con altri prodotti. In linea generale abbiamo prediletto un team snello nella composizione (3 persone sul set) e nella tecnica, che si potesse facilmente adattare anche alle situazioni più intime ed introspettive, come anche a quelle più caotiche.