A voler raccogliere degli aggettivi che descrivano Gaspar Noé, regista argentino-francese che di sé ha fatto, fa e farà molto discutere, potremmo dire: provocatorio, controverso, visionario, sperimentale, audace, scandaloso, surreale, crudo, polarizzante o divisivo.
Quando ho pensato come affrontare il regista in questo articolo, mi sono vista accendere la luce verso una direzione a prima vista giusta, ovvia, razionale: quella di una figura che ha sempre fatto di tutto per suscitare negli animi degli spettatori quelle emozioni che nella vita di tutti i giorni eviteremmo. Come il disgusto, l’orrore, il sentirsi incatenati in una situazione da cui vorremmo solamente fuggire.
E questa via sarebbe anche stata giustificata, sensata, senza errori.
Eppure, se Gaspar Noé ha saputo prendere un posto nei miei pensieri, credo sia anche perché io, questi sentimenti così aggressivi, provocatori, dolorosi e controversi li vedo nella sua cinematografia come un’arma contro e verso il mondo, nella danza che tutti i bravi registi intraprendono per affrontare i propri mostri e le proprie curiosità.
Senza voler o saper affrontare il cinema di Noé da un punto di vista psicanalitico, non posso che osservare – e quasi ammirare – il movimento del sottosuolo che nei suoi film avviene.
Che cos’è il cinema se non una ricerca dei confini – propri e collettivi – e uno sguardo su quello che oltre i confini si muove?
Il regista – figlio del pittore argentino Luis Felipe Noé, che della ricerca di cosa c’è oltre le proprie tele ha costruito la sua visione – ha messo al centro della propria opera il bisogno dell’essere umano di sperimentare visioni che fuoriescano dai limiti del corpo, spesso grazie all’abbondante uso di sostanze psichedeliche.
Così in Climax, del 2018, dove un gruppo di ballerini si ritrova in un edificio che diventerà luogo del proprio inferno personale e collettivo, quando una dose esagerata di LSD viene versata nella sangria. Comincia qui il climax di avvenimenti che i protagonisti non hanno strumenti per controllare, degenerando presto in un abisso che il regista sembra voler esplorare in ogni minimo dettaglio, portando con sé lo spettatore – anche lui inabile di ritrarsi in qualsivoglia modo dalla situazione in cui si ritrova, immerso nel film tanto quanto i personaggi.
Trovo i film di Gaspar Noé una propria ricerca personale che, per qualche motivo, si è trovata specchio dell’inquietudine di chi lo osserva. Fatico a vedere solamente gli aspetti scomodi o irriverenti, aspetti che andrebbero solamente in una direzione, quella del regista verso il proprio pubblico. Trovo invece ben presente una bilateralità, o quasi una tridimensionalità esagerata dove il regista, mentre offre la propria opera al pubblico, continua la sua ricerca dentro di sé.