The Last Kingdom: Seven Kings Must Die. (L to R) Ingrid Garcia Jonsson as Brand and Alexander Dreymon as Uhtred in The Last Kingdom: Seven Kings Must Die. Cr. Courtesy of Netflix © 2023

La storia del Nord Europa raccontata in due serie tv: la prima è Vikings, la seconda The Last Kingdom. Due saghe che hanno portato il pubblico ad appassionarsi a personaggi storici e mitologici che, almeno alle nostre latitudini, non si studiano sui banchi di scuola.

Miti e leggende nordiche, nell’ultimo decennio, hanno trovato terreno fertile e i personaggi di queste due serie incarnano a pieno la voglia di ritrovare paesaggi selvaggi e protagonisti dal carattere guerriero con nomi evocativi come Ragnarr Loðbrók, Lagherta, Ívarr Ragnarsson, Aethelwulf, Uhtred e Alfredo il grande. La voglia di scoprire una cultura che è meno nota, ma che si interseca con lo spirito latino, poiché erede di un impero romano ormai dissolto e di un cristianesimo in piena espansione: siamo tra l’800 e la prima metà dell’anno 1000. Inoltre i paesi del nord hanno indubbiamente dalla loro un profondo legame con la natura che la nostra società sta cercando ardentemente di ritrovare.
Così dopo i noir dal sapore scandinavo, che non smettono certo di andare per la maggiore, questo nuovo filone di storie ci tiene tra le nevi di Norvegia e Islanda e ci conduce inevitabilmente a quell’isola di Gran Bretagna che con i suoi Re e le sue Regine fa parte imprescindibile anche della storia del nostro tempo: l’incoronazione di Re Carlo e della Regina Camilla insegna.

Vikings ci racconta la storia di gruppi di antichi scandinavi che, guidati da Ragnarr Loðbrók, sbarcarono sulle coste della Gran Bretagna scontrandosi con i Sassoni e gli Angli. Ci dà conto del sacco di Parigi dell’845, della nascita del primo ducato di Normandia. Ci spiega che una shieldmaiden è una donna guerriera e che tra i vichinghi ci sono stati abilissimi navigatori, come Flóki che scoprì l’Islanda. Ci tramanda le credenze negli antichi dei e il sogno del Valhalla, paradiso di ogni guerriero. Mito e realtà si fondono e Vikings ci conquista con il carisma dei suoi protagonisti, la scelta accurata di costumi, ambientazioni e musiche. Dopo aver visto Vikings ci sembra di sapere tutto di quel mondo! E qui il ci sembra è d’obbligo, attenzione a non correre il rischio di scambiare la serie con un documentario, anche se si rifà con una certa accuratezza ad alcuni personaggi realmente esistiti.
L’immedesimazione è garantita e vanta, come ormai per ogni serie che si rispetti, una par condicio tra figure femminili e maschili dai tratti sensuali e dal carattere ben giocato tra snodi intimi, cambi di ritmo e colpi di scena.
Nelle 6 stagioni, scritte da Michael Hirst, la vita di questi eroi si srotola diventando sempre più familiare e offrendo degli agganci storici che rendono reali anche gli elementi tratteggiati dalla fantasia. Tutto regge perfettamente, almeno fino alla 4a stagione, poi inizia a cedere sotto il peso della longevità della saga. Il finale si sostiene esclusivamente grazie agli occhi di ghiaccio di Alex Høgh Andersen, l’attore danese che interpreta Ivor il senzaossa. Le ultime due stagioni ci lasciano con l’amaro in bocca. Forse sarebbe valsa la pena chiudere prima il cerchio, senza scadere in una trama a questo punto troppo romanzata.

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