Nel bel mezzo della rappresentazione di Il cornuto, una pessima commedia da boulevard, Yannick, uno spettatore spazientito, si alza e interrompe lo spettacolo per prendere il controllo della serata… Questo è l’inizio dell’ultimo film di Quentin Dupieux, l’ecclettico regista francese – che per la prima volta nella sua carriera – si mette in gioco e concorre per un premio internazionale. Il suo obiettivo è chiaro e ambizioso: e cioè quello di risvegliare il cinema che sta dormendo. E come dice lui è soprattutto quello di dare una scossa perché: “Il 99% dei film sono noiosi. Questo no”.

Detto ciò, l’opera ha diversi meriti e potrebbe davvero correre per il Pardo d’oro. Il film è una messa in scena della messa in scena. Siamo in un teatro e osserviamo la rappresentazione di una banale pièce che il poco pubblico presente segue senza troppo entusiasmo. Ma la sveglia arriva presto e arriva dalla rottura pirandelliana della famosa quarta parete, quella trasparente che separa il palcoscenico dalla platea e che fa interagire il pubblico con gli attori. Il passo successivo che compie il regista è quello di filmare il tutto situando le macchine da presa un po’ tra gli spettatori e un po’ sulla scena. I punti di vista, in questo modo cambiano e se all’inizio facciamo il tifo per gli attori aspramente criticati dallo spettatore, alla fine colui che ha provocato lo choc, che ha rotto la parete, e cioè Yannick, è visto in modo più simpatico e umano. Soprattutto ha mostrato che il Re è nudo.

La pellicola dura poco più di un’ora, ma è un crescendo di emozioni e capovolgimenti di fronte con il tono che passa dal dramma alla commedia in pochi istanti.

È un regista vero Dupieux, di quelli che riflettono e trovano modi intelligenti per creare una nuova e inaspettata forma visiva con pochi e banali mezzi. Perché il tutto è girato praticamente in un unico luogo e basandosi sulla parola pronunciata e scritta.