Di origini siciliane e svizzere (ha vissuto la sua giovinezza ad Aarau), è diplomato all’Università di California a Los Angeles e un master in Fine Arts, Pietro Scalia è uno dei più importanti montatori al mondo. Due Oscar per JFK di Oliver Stone e per Black Hawk Down di Ridley Scott. a Locarno gli è stato assegnato il Vision Award Ticinomoda, il premio dedicato a chi ha ampliato gli orizzonti dell’immaginario cinematografico. Oltre ad aver assistito a una masterclass, abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per porgergli qualche domanda sulla sua carriera.

Signor Scalia, che cosa significa per lei il montaggio?
Da un lato è la mia vita, d’altro lato significa dare vita alle opere. Raccontare una storia, condividere emozioni per lo spettatore attraverso una forma creativa. È una libertà che mi hanno offerto i registi e i produttori per contribuire con la mia creatività a un progetto cinematografico. È vero che non è un lavoro molto riconosciuto e conosciuto dal grande pubblico, ma ha una sua importanza. E lo si fa con un gioco di alchimia, perché trasformi la materia che hai a disposizione, il girato, e lo fai diventare un film vero e proprio.

Che cosa si è portato in USA dalla Svizzera e dall’Italia?
Dalla Svizzera probabilmente la mia dedizione al lavoro. Perché essendo cresciuto ad Aarau, nelle scuole cattoliche gestite da suore bresciane e bergamasche, ho assimilato la cultura calvinista nella quale si insegna che il lavoro ti porta in cielo. Invece, dall’Italia mi sono portato la passione, l’istinto, il temperamento più caldo ed estroverso. E questo aiuta molto in un ambiente come quello del cinema carico di ego. E la mia sicilianità mi ha aiutato a conoscere le persone in poco tempo.
Mentre negli USA ho cavalcato il sogno americano. È un cliché, ma è anche verissimo: non importa da dove vieni, chi sei e quale religione hai; dipende solo da te se ce la fai. Ed è una questione di bravura e di volontà. Dell’America mi piace moltissimo anche la libertà che emerge in alcuni film come Easy Rider e nei libri di Jack Kerouac.

In proposito ha mai fatto un film on the road?
Sì, un film diretto da Konchalovsky con Jim Belushi e Woopi Goldberg, Hoomer and Eddie, ed ero assistente al montaggio. Era un film on the road in mezzo agli USA e l’abbiamo montato a Parigi mentre lui dirigeva Juliette Binoche a teatro. Un film strano, divertente, anche piuttosto carino.

 

Foto: Roberto Pellegrini

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