Incontriamo il presidente del Locarno Film Festival Marco Solari nel suo ufficio al PalaCinema di Locarno in un pomeriggio particolare. Poche ore prima è morto Silvio Berlusconi, che tra le varie attività era anche uomo di cinema: infatti negli anni 80 aveva creato pure una società di produzione e distribuzione di film. Senza contare i numerosi film e documentari (favorevoli e contrari) che sono stati girati su di lui. Quella data, e cioè il 12 di giugno del 2023, resterà perciò nella storia.
Le due personalità, anche se ovviamente diverse, hanno almeno una caratteristica in comune: una visione sul lungo periodo. Iniziamo l’intervista ricordando infatti che Marco Solari è presidente del Locarno Film Festival da ben 23 anni.
Presidente Solari, lei è in carica dal 2000. Quali sono i suoi sentimenti alla vigilia della sua ultima edizione?
Sono tantissimi e in parte anche contraddittori. Da un lato c’è il dolore di lasciare dopo tanti anni questa rassegna alla quale sono molto legato, dall’altro c’è anche la gioia di passare il testimone in un momento in cui il Festival gode di ampi consensi. A conti fatti, certo mi spiace abbandonare il Festival. Nel 2000, quando assunsi la presidenza, la rassegna cinematografica si trovava in una profonda crisi e Locarno era un piccolo festival nel quale lavorava solo una mezza dozzina di persone a tempo pieno. Persone che con me hanno avuto il compito di risollevarlo dopo che Governo e Gran Consiglio hanno risposto alla domanda più importante: che tipo di festival vogliamo avere? Un evento turistico oppure una rassegna culturale? La politica cantonale optò per la continuità e quindi per la rassegna culturale di altissimo livello. Da quel momento ho cercato, con tutte le mie energie, di risollevare il nome e la forza di Locarno. All’epoca con me c’erano persone che hanno avuto poi dei figli i quali, negli anni seguenti, hanno iniziato a lavorare con noi. Qualche anno dopo sono arrivati anche i nipoti che ci hanno dato un’ulteriore mano per il bene del Festival. E oggi che cosa succede? Si strappa il “nonno del Festival” alla famiglia e ciò crea in me un sentimento di lacerazione. D’altra parte, però ho anche l’obbligo di razionalizzare i fatti e sono consapevole che è giunto il momento di lasciare il mio posto. A dirla tutta sono ancora diviso tra il voler seguire alla lettera il detto dei patrizi bernesi “Servir et disparaître”, e quindi spegnere la luce, chiudere la porta e girare la chiave, e, per la prima volta nella mia vita, il desiderio di lasciare in modo più soft, anche se chi verrà dopo di me non dovrà assolutamente sentire il fiato sul collo del predecessore. Ma il tutto dipenderà molto dalla personalità che verrà nominata al mio posto.
Quando sarà nominato il suo successore?
Il processo di scelta sta terminando. Al Consiglio di amministrazione ho riferito che siamo quasi arrivati al traguardo, ma c’è ancora qualche trattativa in corso. Il 24 di luglio ci sarà la prossima seduta del CdA e in quell’occasione, presumibilmente, verrà annunciato il nome.
In questi anni come è cambiato il Festival?
Quando arrivai avevo una missione, e cioè non solo quella di far tornare la manifestazione al livello della sua reputazione – che per fortuna era sempre stata tenuta alta – ma anche di rafforzarla e mantenerne la collocazione tra i dieci festival mondiali più rilevanti.
In questi 23 anni abbiamo visto tutti l’impressionante crescita delle varie rassegne cinematografiche presenti in ogni angolo del Pianeta. Il vero miracolo che c’è stato a Locarno è quello di essere riusciti, malgrado l’incredibile concorrenza, a rimanere tra questi sette, otto, dieci festival più influenti e considerati. In economia c’è un concetto che aiuta a capire questo fenomeno, ovvero lo ‘Unique Selling Proposition’ (USP) che caratterizza un’azienda. In altri termini è il messaggio che si sceglie di rappresentare e che differenzia l’azienda rispetto ai concorrenti. La nostra USP è che noi siamo uno dei festival più liberi del mondo, che sin dalla sua nascita ha difeso i valori del Secolo dei Lumi, come la dignità dell’uomo, la sua libertà di espressione e il rispetto per l’individuo. Un luogo nel quale il direttore artistico ha la più grande libertà di scelta e, infatti, in 23 anni, non sono quasi mai stato costretto a intervenire nelle decisioni artistiche.
Foto: Roberto Pellegrini