Ci sono dei registi che ami a prescindere. Anche se non li comprendi fino in fondo, anche se non apprezzi tutto quello che hanno realizzato. Jean-Luc Godard è uno di questi. E lo è per una serie di ragioni. In primis perché ha avuto su di te un’influenza importante, durante la tua formazione cinefila. Film come Le Mépris, À bout de souffle e Je vous salue, Marie sono stati fondamentali nella mia scoperta del cinema e in particolare nella comprensione che il cinema può assumere una forma artistica. Inoltre, studiando la storia del cinema, capisci che lui – come pochi altri – ha avuto un ruolo centrale nella trasformazione della settima arte. Poi, probabilmente, ha seguito strade che lo hanno portato a parlar più con sé stesso che con il pubblico, ma tutto ciò è poco importante. Solo il fatto che ci abbia mostrato le diverse potenzialità artistiche di questo strumento basta e avanza per inserirlo nel Gotha del cinema mondiale. Lo ha capito anche Hollywood (e non è sempre stato così in passato con altri grandi del cinema) che nel 2011 lo ha onorato con l’Oscar alla carriera.

Una carriera molto lunga (i primi cortometraggi sono della metà degli anni 50 e l’ultimo lungometraggio è del 2018) che ha toccato diversi generi e lo ha messo a confronto con molti periodi: dai primi lavori che sono stati legati alla Nouvelle Vague, passando per anni in cui la sperimentazione collettiva diventa preponderante e arrivando all’ultima fase nella quale utilizza le nuove tecnologie elettroniche e video per ripensare al cinema.

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