Questo film è una festa per gli occhi, uno spasso tragicomico che punta dritto al cuore della nostra coscienza e la scuote, la ribalta e ci restituisce a noi stesse (anche stessi) nuove di zecca. Questo film è di (e con) Paola Cortellesi — comica, attrice e ora per la prima volta regista di un lungometraggio che, uscito a ottobre, ha aperto la Festa del Cinema di Roma 2023 e nel giro di poco ha incassato più soldi dei promessi blockbuster marvelliosi, concedetemi il neologismo, contemporaneamente in sala. Il film ha sorprendentemente guadagnato già intorno ai venti milioni. Di questi tempi, in cui echeggia ancora l’ennesimo grido alla fine del cinema per mano delle piattaforme. E non siamo ancora a Natale. Il cinema ha ancora molto da dire, specie se a dire è qualcuna che sa cosa dire e come.«È un film popolare», dice la regista, «che volevo parlasse senza retorica di violenza domestica, fosse in bianco e nero e ambientato nel 1946», ossia nell’immediato dopoguerra romano. «Il produttore [Mario Gianani] è rimasto allibito quando gliel’ho prospettato con queste parole aggiungendo che ‘però fa ridere’», racconta Paola, «ma ormai non poteva tirarsi indietro: me l’aveva promesso».

La regista apre il film con un sonoro schiaffone che Ivano (un inedito Valerio Mastandrea nei panni del villain) dà a Delia (Paola Cortellesi): «così evitiamo l’imbarazzo», spiega la Cortellesi, lapidaria, in più di un’intervista — «non c’è bisogno di sospettare della violenza casalinga perché la violenza inizia insieme al film: Delia accanto al marito apre gli occhi, lo saluta ed ecco parte lo schiaffone, e parte anche la giornata di questa bistrattata casalinga al canto neorealista di Aprite le finestre al nuovo sole, nella versione di Fiorella Pini, che è di quel periodo. Il film infatti è anche una festa sonora che affastella musiche rap, pop e neorealiste rosa: inizia con Fiorella Pini, appunto, ma poi segue e insegue la nostra nel suo pellegrinaggio ai (tanti) luoghi di lavoro e ci risveglia all’oggi con gli stacchi graffiati di una chitarra elettrica. A otto minuti e mezzo dall’inizio ecco infatti esplodere i The Jon Spencer Blues Explosion con Calvin, mentre, dietro, scorrono i titoli di testa. Ecco un altro guizzo geniale della regista: gli anacronismi sonori, il gioco continuo col tempo che rammenta che ieri (violento) è l’oggi delle cronache. Ancora.

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