Se pensiamo alla comicità italiana, uno dei primi nomi, se non addirittura il primo nome, che viene alla mente è quello di Alberto Sordi. Dell’attore, regista, comico, sceneggiatore, compositore, doppiatore e cantante romano quest’anno si celebrano i 100 anni dalla nascita. Il 15 giugno del 1920, a Trastevere e quindi in uno dei rioni più ruspanti della capitale italiana, nasceva da un insegnante di musica e da una maestra elementare.
Difficile ripercorre la sua proficua carriera senza scordare per strada qualche film importante o qualche premio. È forse più interessante capire meglio quali sono le caratteristiche che lo hanno portato a essere uno dei più grandi e popolari attori italiani. Come messo in evidenza da molti critici, i personaggi interpretati da Sordi hanno la capacità di rappresentare i vizi e le virtù di un intero popolo, dal dopoguerra agli anni 80. Lui, più di altri, anche grazie alla sua lunga carriera, ha saputo mettere in scena i mutamenti sociali che il Belpaese ha vissuto. E lo ha fatto attraverso la chiave dell‘ironia, della battuta. Diversi suoi personaggi sono infatti schietti, invadenti, arrivisti e arroganti ma anche generosi e gentili. I vizi e le virtù, insomma. E soprattutto senza cadere nella volgarità che ha contraddistinto, spesso, la comicità italiana dagli anni 80 in avanti. Alberto Sordi – né particolarmente bello né particolarmente brutto e quindi rappresentante dell’uomo qualunque – è stato il testimone di un’Italia in piena espansione economica, ma anche di momenti difficili come gli anni di piombo. E ne è uscito sempre da vincitore perché il suo cinema, oltre a far ridere, fa anche riflettere.
Tra i suoi primi film importanti – dopo che era diventato abbastanza noto per aver doppiato Olio in italiano – annoveriamo Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini, dove interpreta un divo di fotoromanzi che imbroglia le sue ammiratrici. Sempre Fellini lo rivuole l’anno successivo per quello che sarà il suo trampolino di lancio: I Vitelloni dove viene ricordato ancora oggi per il gesto dell’ombrello ai lavoratori.
Ed ecco Nando Mericoni (protagonista di Un americano a Roma) – anche se la pronuncia del cognome è ancora oggetto di dibattito, tra fan e studiosi, infatti non si se il personaggio si chiami Mericoni, Meliconi o addirittura Moriconi – il giovane un po’ vigliacco e un po’ approfittatore, ma anche un poco indolente e scansafatiche e qualunquista, diventano il marchio di fabbrica per alcune commedie a cui partecipa negli anni 50 e che gli permettono di acquisire da un lato una grandissima popolarità in tutto il Paese e d’altro lato di ricevere i primi riconoscimenti alla Mostra di Venezia.
Sono anni di grande lavoro. Basti pensare che solo nel 1954 uscirono ben 13 film con Alberto Sordi e l’anno successivo altri 9. Insomma era un altro cinema e i ritmi erano davvero frenetici per chi come lui attirava molta gente nelle sale.
Un momento importante della sua filmografia è rappresentato da quel capolavoro che è La grande guerra di Mario Monicelli, accanto a Vittorio Gassman. E come ben sintetizza la cineteca di Bologna: «È un film per ridere amaramente della stupidità degli uomini e per toccare da vicino le contraddizioni continue che la vita militare innesca: l’eroismo e la viltà; la vita e la morte; il calcolo e il caso; l’umano e il disumano».
In questi ultimi anni, dei film di Sordi, spesso e volentieri ripropongono Il vigile (1960) di Luigi Zampa, la storia di Otello Celletti, che grazie ad un caso fortuito (suo figlio salva dall’annegamento il figlio di un assessore comunale) e alla sua insistenza, riesce a farsi assumere come vigile motociclista del comune. Una divisa che lo fa sentire importante e inflessibile verso tutti, salvo con Sylva Koscina, soubrette del Musichiere… A dimostrare che un cliché come quello del marpione italiano trova qui la sua esemplificazione perfetta.

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