«C’è tanto in quelle tre lettere: alé». Una frase pronunciata da un’istruttrice nel documentario, intitolato appunto Alé, che rinchiude l’essenza del lavoro e soprattutto di un mondo: quello dei climber. Lo stesso di Free Solo per capirci. Anche se le differenze non sono poche. In quel caso si trattava di un’arrampicata solitaria eseguita da un professionista (Alex Honnold) senza assicurazioni, qui seguiamo le gesta di alcuni appassionati che frequentano una scuola a Roma e, insieme, mettono in pratica quanto imparato in palestra. Il tutto in massima sicurezza.
Ma il mondo è pur sempre quello di Free Solo. Anzi, qui, lo comprendiamo meglio perché il regista Marco Zingaretti, ci mostra il dietro le quinte di questa disciplina. Seguiamo la gente che frequenta la palestra romana. In questo modo possiamo capire meglio lo spirito che avvolge quell’ambiente. Li vediamo impegnati a sistemare l’attrezzatura, i nodi, gli attacchi e gli appoggi. Li vediamo allenarsi, aiutarsi e incitarsi a vicenda. Addirittura seguiamo uno di loro che va in Grecia per imparare ad aggiustare le scarpette da un esperto, e altri che rimettono a nuovo un percorso chiodato su una parete.
Oltre a farci conoscere il backstage dell’arrampicata Alé dà voce a uno dei più importanti scrittori italiani viventi: Erri De Luca, anche lui grande appassionato di scalate. Grazie alle sue parole facciamo un passo in più nella comprensione, anche spirituale, dei climbers. A un certo punto, infatti dice: «la montagna è il posto dove il mio corpo si muove meglio. Ed è anche uno sport umile perché devi continuamente guardare in basso, dove metti i piedi». E ancora: «Chi arrampica sposta continuamente i propri limiti». Insomma, un modo per conoscere meglio se stessi e le proprie capacità.
Alé mostra anche un mondo pieno di silenzi e di rumori provenienti dalla natura. Quando si scala, il suono del vento, quello delle piante lontane, di un ruscello o degli uccelli sono ben presenti. E l’unico suono umano che si sente è spesso dato da quelle tre lettere: Alé. L’incitamento che gli altri climbers e soprattutto il compagno che dal basso ti assicura e ti invita a continuare. A contrario di quanto potrebbe sembrare, anche in Free Solo, l’arrampicata è uno sport di squadra: la solidarietà tra compagni di avventura è molto forte. Quella breve esclamazione «è anche il cordone ombelicale tra l’istruttore, il compagno e il climbers e ti dà la forza per continuare», dice a un certo punto un’istruttrice.
Così come è altamente significativa e simbolica la scena con la quale inizia e si conclude il documentario, quando due ragazzi, fidanzati, scalano una parete e lei si trova in difficoltà. Grazie all’aiuto del ragazzo la situazione si risolve per il meglio e anche lei può infine salire in cima a quel picco. In mezzo al nulla, solo due ragazzi, che si guardano intorno, soddisfatti e con la consapevolezza di esserci riusciti. Insieme.
Qualche informazione tecnica, per concludere. Il documentario è realizzato dalla Soul Film Production ed è visibile sul canale Infinity della piattaforma Mediaset. Il progetto è iniziato nel dicembre del 2018 e le riprese sono terminate nel giugno dell’anno seguente. Nel luglio del 2019 c’è stata la prima a Roma.