Il cinema pone domande che non bussano alla porta. Trovano il modo di infilarsi dove possono e si palesano di fronte al volto senza imbarazzo. Chi fa cinema non ne può fare veramente a meno, non può voltare lo sguardo altrove, può solamente prenderne atto e trovare il modo di rispondere. Talvolta il tempo di incubazione di una risposta può durare anni, decenni – e ancora non sembrare quella giusta.
Così, Hong Sang-soo – dalla Corea del Sud fino all’Europa – ci vuole spiegare che cos’è il cinema per lui.
Assalito da un bisogno di raccontare quei luoghi d’incontro a cui siamo tanto abituati quanto assuefatti – i bar, gli incroci – luoghi che improvvisamente perdono la propria identità per prendere la nostra, simboleggiano l’ascolto che lo spettatore si premura di avere nei confronti dei personaggi che il regista posiziona davanti (e allo stesso tempo lontani) alla macchina da presa.
Troviamo una sorta di ripetizione, tanto costante quanto incerta, nei gesti e nelle parole che compongono i dialoghi, come a voler ascoltare e riascoltare uno stesso nastro alla ricerca di un punto di svolta.
I personaggi assumono così la forma di sentimenti ben precisi senza una vera e propria caratterizzazione, nell’imbarazzo di essere guardati, nel dolore di essere parlati, improvvisamente, da qualcuno che li vede per la prima volta e ne porta fuori aspetti sino a quel momento rimasti in letargo, in attesa delle domande giuste.
E così, dopo più di dieci anni di lavori importanti, Hong Sang-soo si offre volontario nel portare sullo schermo un complicato e immancabilmente acerbo personaggio femminile alle prese con quel difficile desiderio di volerne sapere di più su sé stessa, pur rischiando di scontrarsi con le proprie azioni, e ritrovandosi immancabilmente a dover riaccendere di continuo un motore che continua a spegnersi, sbeffeggiante di ogni sforzo intrapreso.
Sunhi, o meglio, Our Sunhi (2013, Premio alla miglior regia a Locarno), non si rende conto di ciò che i propri desideri significhino per gli altri, inneggiando e dando il via ad una battaglia nei confronti della vita che non ha strade già definite, bensì campi pieni di ortiche che bruciano la pelle.
La presenza crea scompiglio nella vita degli altri, inutile cercare di dire il contrario. Ciò che siamo definisce il mondo ed il modo di vedere le cose, e Hong Sang-soo lo sa e lo ribadisce.