Nicola Lagioia è iperattivo. Lo si capisce subito, dalla velocità in cui parla e mette le parole una dietro l’altra. C’è una forma di ansia nella sua voce che lo spinge a voler dire tanto e in fretta, ma – nel contempo – cercando anche l’originalità e la profondità del pensiero. E questo modo di parlare si concretizza, nella vita di tutti i giorni, anche nel lavoro: è uno scrittore, ma anche un conduttore radiofonico, così come il direttore del Salone internazionale del libro di Torino. Qualche anno fa è stato anche direttore di una collana della casa editrice Minimum Fax e pure selezionatore alla Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia. Vincitore del Premio Strega nel 2015 con La ferocia, nei mesi scorsi è uscito il suo ultimo lavoro intitolato La città dei vivi; un viaggio dentro un delitto tra i più incomprensibili degli ultimi anni.
Nicola Lagioia è stato l’ospite dell’edizione di quest’anno de L’immagine e La parola (curata da Daniela Persico), la costola primaverile del Festival del Film di Locarno e abbiamo avuto il piacere di intervistarlo. Con lui abbiamo parlato di cinema e letteratura, due tra le sue molte passioni.
Lei è l’ospite della rassegna L’immagine e la parola, secondo lei qual è la relazione e la differenza tra questi due concetti?
I rapporti sono infiniti. Partirei dalle differenze. Io credo che ve ne sia una importante: l’immagine è fuori di noi perché la percepisci attraverso la vista; è una cosa altra da te che fai propria. La parola, invece, è un aspetto che l’uomo possiede, che crea dentro di sé.
Un’altra differenza interessante, sulla quale non si è mai riflettuto abbastanza, è quella tra letteratura e le altre forme d’arte. Queste hanno bisogno di qualcosa che le rappresenti fuori da noi; quando guardo un film e poi lo racconto non riesco a raccontarlo esattamente come l’ho visto. Stessa cosa per un quadro che devo avere davanti per descriverlo. Mentre, anche senza avere un libro in mano, posso riprodurre un intero passaggio di un’opera in modo perfetto. Quindi il linguaggio non ha bisogno di un supporto mentre l’immagine o le altre forme d’arte sì.
Anche le relazioni possono essere molteplici. Pensiamo ai film tratti dai romanzi, o alla critica cinematografica che usa la parola per raccontare o tradurre le immagini. E ancora i rapporti tra le immagini: penso per esempio a Bernardo Bertolucci che vede una mostra di Francis Bacon la quale diventa l’ispirazione per l’Ultimo Tango a Parigi.
Facendo uno scatto in più possiamo dire che esistono anche le immagini mentali che ci appartengono come il linguaggio, ma sono difficili se non impossibili da tradurre con altre immagini. Quindi l’immagine mentale è trasmissibile solo attraverso il linguaggio e il linguaggio è trasmissibile solo attraverso altro linguaggio.
Lei ha esperienze in molti campi, come mai questa esigenza di diversificare gli interessi?
Perché sono un vitalista non ancora depresso. Ho molte energie che devo usare. Infatti, nei rari momenti in cui non mi occupo di nulla, esco a correre senza una meta, tipo Forrest Gump. Ma sono anche un po’ ossessivo e credo che sarei capace di stare per due anni in una stanza a fare la stessa cosa in modo autistico. Ho quindi bisogno di diversificare.
(foto © Chiara Pasqualini)