Non c’è dubbio che se ti sei imbattuto nel cinema degli anni 70 non puoi non aver visto e ammirato Luc Merenda. Di origini francesi ma con un padre luganese, si fa strada nel cinema italiano grazie alla sua bellezza da fotomodello, capace di rappresentare al meglio quel duro inossidabile e di poche parole, sbirro dalla pistola facile, ma al servizio del bene, personaggio fondamentale delle trame del poliziottesco. È il paladino della giustizia di film come Milano trema: la polizia vuole giustizia, La città sconvolta: caccia spietata ai rapinatori, Napoli si ribella, La banda del trucido. Nel genere spicca in particolare la sua interpretazione nel film di Fernando Di Leo Il poliziotto è marcio dove interpreta, unica eccezione, un poliziotto corrotto al servizio della malavita. Attore di genere, cerca comunque di evolvere il suo personaggio, mostrando una certa versatilità che in pochi gli riconoscevano. Recita in alcuni film thriller e sentimentali, lavora con Tinto Brass in Action e prova a cimentarsi in ruoli comici, come quello del megadirettore generale nei film di Fantozzi. L’ultimo decennio di carriera è comunque molto meno prolifico del precedente, fino a quando decide di ritirarsi definitivamente dalle scene, alla fine degli anni Ottanta.
Durante lo scorso Locarno Film Festival aveva partecipato a un incontro col pubblico. Ed è stato un momento simpatico, esilarante e fuori dalle righe. Ma anche elegante e alla mano. Proprio come è Luc Merenda, all’anagrafe Luc Charles Olivier Merenda.

L’infanzia e la giovinezza
Passai la mia infanzia in Marocco. Mi ricordo che c’era una spiaggia lunga venti chilometri, dune incredibili di sabbia e io che guidavo le auto a dieci anni, perché lì era normalissimo e tutti lo facevano. Poi sono partito in Francia dove ho vissuto la mia adolescenza. Ma me lo ricordo come un periodo complicato, dove tutti mi trattavano con freddezza perché avevo un accento marocchino. Non furono anni facili. Quindi, a vent’anni, andai negli Stati Uniti, facendo mille mestieri.

L’Italia
Arrivai a Roma nel 1955, e subito mi sono sentito a casa e ho pensato: «Ecco, questo è il mio paese. In particolare, mi innamorai di Caracalla». Poi, dopo aver fatto esperienze soprattutto in Francia come modello e come attore in piccoli ruoli, nel 1971, durante una vacanza a Roma feci alcuni provini e mi feci notare dai registi che iniziavano a girare i poliziotteschi. Mi piaceva molto il fatto che l’Italia di quel periodo, attraverso quei film, veniva raccontata in modo reale, senza tanti fronzoli. C’era molta violenza in quel periodo che quelle pellicole riuscivano a raccontare. Non per nulla è stato il periodo dell’assassinio di Aldo Moro.

foto: Roberto Pellegrini

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