Nel numero cartaceo di aprile di Cinemany ne parlerò in modo più approfondito.

Per il momento mi viene da pensare a due proverbi orientali, uno cinese e l’altro giapponese. Il primo dice che l’uomo che sposta le montagne comincia portando via i sassi più piccoli; il secondo che se cadi sette volte, devi rialzarti ancora, per l’ottava volta. Facile. Se volessi descrivere la genesi del docucorto LOCARNO 2, direi che queste parole levantine calzano proprio a pennello. Definiscono la nostra forza, la nostra perseveranza e determinazione, la nostra propensione a ciò che ci fa felici e che per me si chiama CINEMA.

Il motivo per cui ne sto parlando è che il 17 marzo, alle 10, presso il Cinema Rialto, durante L’immagine e la parola, l’evento primaverile del Locarno Film Festival, il nostro film verrà proiettato.

Se mi si chiedesse a bruciapelo cosa è LOCARNO 2, istintivamente mi viene da dire che è una rete di affetti uniti da un film e custodita in una prigione immaginaria: la scuola. In verità è però un documentario che si propone di parlare di cosa sia la nostra identità di spettatori in una città del cinema come Locarno, e anche di perlustrare le fronde diffuse e intrecciate della memoria cinematografica di una classe, la II A della Scuola Media Locarno 2. La mia classe.

Tutto è partito quando con lo scrittore Roberto Piumini, la regista teatrale Maria Pia Mazza e una terza media di qualche anno fa mettemmo in scena, a partire dai testi degli allievi sul primo verso della Commedia, uno spettacolo al Teatro del Gatto di Ascona. L’anno dopo, col Duo Full House (costituito da Henry Camus e Gaby Schmutz) e un’altra classe (l’amata IV A dell’a.s. 2021/22), mi sono dedicato a uno spettacolo sulla Grecia classica; e infine un paio di anni fa mi era venuta in mente l’idea di mettere su un altro spettacolo, ma coinvolgendo anche la Scuola Speciale del nostro Istituto e gli allievi di più classi. Si dice, però, che niente di bello fila liscio. Lo sgambetto di qualcuno o di qualcosa entra in scena quando meno te lo aspetti.

È stato in quel momento che ho iniziato a cercare di capire come mettere a frutto il lavoro di un anno in un altro modo che esulasse da un palco teatrale e ho pensato al cinema, mia passione da sempre. Chissà quale preoccupazione non mi aveva fatto pensare subito a questa soluzione. Un altro detto cinese dice che è difficile vedere un gatto nero in una stanza buia, specialmente quando il gatto non c’è.

Fatto sta che ho inviato una bozza al Festival del Film Giovanile Svizzero e loro ci hanno dato la possibilità di partecipare non solo alla selezione per il Festival, ma anche di avvalerci dell’aiuto di una professionista come Mara Manzolini, nella cui esperienza troviamo lavori di regia, montaggio, produzione e sceneggiatura. A quel punto non mi restava che buttarmi a capofitto sul progetto. Ad aiutarmi e darmi più di una semplice mano (e occhio) c’è stato Umberto De Martino, a sua volta artista e videomaker, nonché collega con cui condivido oltre che l’amore per il cinema, anche la passione per la cultura arbersca; ma questa è un’altra storia, magari la racconterò un’altra volta. L’alchimia per arrivare a LOCARNO 2 a questo punto era quella giusta: c’erano i testi scritti l’anno scorso, gli attori (agli allievi di II A si sono uniti un’allieva della I A, uno della Scuola Speciale e altri trentasei studenti provenienti dalla maggior parte delle classi del nostro istituto), una montatrice cinematografica, un collega di lavoro esperto nel campo e, ovviamente, l’entusiasmo. L’idea è semplice: girare un documentario sulla nostra sede scolastica che, guarda caso, oltre a chiamarsi Locarno 2, è sede integrante dell’omonimo Festival. Cosa succede nei luoghi del Festival quando il Festival non c’è? Cosa succede negli spazi de La Sala e dell’Altra Sala, rispettivamente la nostra palestra e la nostra aula magna? Cosa nel campo di calcio in cui ad agosto (nel Forum @ Spazio Cinema) si consumano interviste e conversazioni con i divi del cinema mondiale? Cosa nei pressi del Fevi? La risposta che ci siamo dati si articola in un prologo e sei scene. Sei scene imperniate sulle cinque parole chiave che a nostro avviso identificano l’arte cinematografica (gioco, poesia, racconto, libertà e lavoro) a cui se ne aggiunge un’altra: epilogo. Sei scene per sei parole. Sei e solo sei, ovvero tante quante sono le lettere che costituiscono sia la parola CINEMA che la parola SCUOLA.

Cinema e teatro, ne sono persuaso, rappresentano non solo un modo per guardarci dentro, ma anche una lente speciale per guardare alle cose del mondo da un altro punto di vista. Sono forse la strada più diretta per imparare, questa strana voce verbale che dovrebbe fare tutt’uno con il sostantivo scuola. Ho detto guardare e non vedere perché in effetti sono due verbi diversi, molto diversi. Magari analoghi, magari affini, ma di certo non omologhi, non uguali. «Le parole sono importanti» dice un regista che mi ha da sempre accompagnato per scoprire le cose del mondo. Se infatti il vedere ha più strettamente a che fare con la percezione visiva; il guardare  invece ci offre un dirigere lo sguardo, un fissare gli occhi con attenzione. Sembra un paradosso, ma il guardare può addirittura prescindere dalla vista: esso ci mostra una intenzione che ha in sé il perseverare dei due detti orientali di cui sopra. Guardare al cinema ha rappresentato quest’anno la nostra stella polare, quella a cui fare riferimento per navigare. E il parentado da cui nasce il navigare ci apre le terre sotterranee che sono dentro di noi. Una tenda leggera che scopre i nostri rapidi lavori quotidiani e allo stesso tempo ci concede uno spazio alle cose che ci servono ma che spesso non si trovano.

C’è un modo molto pratico per considerare l’utilità spicciola di un verbo come guardare. La sua opposizione al vedere, quello dritto e pedestre, è così schietta e fisiologica che non si porta dietro nessuna scoria, nessun ferito, nessun accidente legato alle deformazioni inquietanti dell’obliquo e dello storto. Il guardare ha piuttosto a che fare con il rovescio, parola ben più felice perché ragiona con la lateralità, la disobbedienza, la bellezza. Il guardare, e in particolare venire a guardare LOCARNO 2 al Cinema Rialto domenica 17 marzo alle ore dieci, a mio modo, ehm, di vedere, può essere un luogo di scoperta.