Il primo film in competizione per l’Italia è Lazzaro felice (coprodotto anche dalla RSI e da AMKA films) di Alice Rohrwacher. Nella presentazione di gala ha ricevuto 10 minuti di applausi e secondo l’Hollywood Reporter è tra i film favoriti per la Palma d’oro, in quanto è piaciuto alla presidente Cate Blanchett. Inoltre anche il Delegato Generale del Festival di Cannes, Thierry Fremaux, aveva confessato in conferenza stampa quanto l’avesse stupito e ipnotizzato.

Il lungometraggio racconta di un giovane e semplice bracciante che, insieme ad altri contadini, lavora per la marchese Alfonsina De Luna (interpretata dalla moglie di Roberto Benigni, Nicoletta Braschi. Un giorno, al podere, arriva la stessa marchesa con il figlio Tancredi. I due giovani legano subito e inscenano un finto rapimento, al quale, tuttavia, la marchesa non crede.

Lazzaro è quindi vittima di febbre alta e, debilitato, cade in un burrone. Si sveglia, sempre giovane, anni dopo. E, il desiderio di rivedere il suo amico e i suoi colleghi braccianti, lo spinge in città.

Come dice lo stesso nome, Lazzaro, verso metà film ci troviamo di fronte a una sorta di risurrezione. E a un cambio di paesaggio, di ambiente (dalla campagna alla città), ma siamo anche davanti a una mutazione di paradigma. Lo sguardo puro e gli occhi semplici sono rimasti gli stessi, ma sono gli altri ad essere cambiati. Tutto quello che lo circonda è invecchiato e si è corrotto con la civilizzazione.

Non ci ha convinti fino in fondo questa prova della regista italiana. Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola è un unicum della cinematografia mondiale e questo, ci sembra, gli faccia il verso. Ma l’autenticità di quell’opera è lontana mille miglia. Così come l’utilizzo di un gruppo di non attori che parlano in dialetto e il nome Tancredi (il Visconti de La Terra trema e de Il Gattopardo è un’altra allusione evidente) non aggiungono nulla all’insieme.
Non ci ha convinti perché malgrado le belle inquadrature dall’alto di un paesaggio rurale rarefatto, quasi lunare e quello metropolitano della seconda parte, manca sostanza e scrittura. Come sempre nel cinema italiano, anche se qui forse è meno evidente che altrove, è la sceneggiatura a far difetto. E per fortuna che Nicoletta Braschi si è limitata a un paio di battute. Avrebbe potuto fare molti più danni.

Un’ultima cosa. Se vince questo film, allora la scelta di quest’anno è puramente politica. Ci può stare, per carità, ma che sia ben chiaro.