Lo scrittore e l’attore, due amici, due vite che si incrociano più volte nel corso degli anni e che descrivono molto bene la lacerazione che sta vivendo l’India nel 1948. Sono anni importanti e decisivi, quelli, per il Paese. Siamo nel periodo in cui Gandhi e la sua marcia pacifista liberano il Paese dal dominio britannico e gli indiani si trovano liberi. Anche di dire ciò che vogliono nel modo più diretto e crudo possibile. È il caso dello scrittore Saadat Hasan Manto che per il suo libro ha dovuto subire un processo per oscenità. Il film presente a Cannes, nella sezione Un Certain Regard, descrive quegli anni convulsi e la figura del letterato. Mette in evidenza anche la grande amicizia con l’attore, che lo aiuterà anche economicamente durante il processo.

La regista Nandita Das ha dichiarato di aver pensato al film dopo aver acquistato l’opera integrale. «Mi avevano colpito i suoi racconti così semplici, ma allo stesso tempo profondi. Così ho voluto adattarli. Ma è solo nel 2012, nel centenario dalla nascita, che i suoi scritti sono diventati popolari e molti hanno scritto su di lui, andando a fondo nella sua vita. È in quel momento che mi sono chiesta perché i suoi scritti mi sembravano familiari ed è allora che mi sono resa conto che stavo leggendo di mio padre, anche lui un artista, anche lui anticonformista. Una persona ai margini e incompresa che parlava in modo diretto e non molto distante dal mio personaggio».

Il film mantiene alta l’attenzione dall’inizio alla fine e malgrado il tono bollywoodiano – che, soprattutto negli atteggiamenti del protagonista (la sigaretta costantemente in bocca, il bicchiere di whiskey, l-atteggiamento da duro) imita quello hollywoodiano – descrive bene quel periodo e la vita travagliata del protagonista. Ma soprattutto tematizza la questione dell’appartenenza. Siamo infatti nel momento in cui i musulmani dell’India vengono spediti in Pakistan e gli Indu che vivono in Pakistan sono trasferiti in India. Un tema drammaticamente attuale e ancora irrisolto.