L’undicesimo Biennale College-Cinema ha prodotto quattro film. Tra di essi c’è anche un progetto italiano – che, come gli altri, è stato realizzato a microbudget con il contributo della Biennale di 200mila euro e poi presentato alla 80esima Mostra di Venezia – intitolato L’anno dell’uovo, opera prima di Claudio Casale e prodotta da Francesca Vargiu. Un film semplice, lineare e che si basa molto sulla recitazione della bravissima Yile Yara Vianello: una delle attrici più brave della sua generazione.

Siamo un una comunità (denominata Comunità dell’Uovo) dove una guida spirituale Guru Rajani, vive in contemplazione della fertilità e trascorre in comunione i momenti dei pasti, di meditazione e di preghiera, come un’unica grande famiglia unita sotto l’ombra dell’Uovo dorato che troneggia nel tempio. All’interno di questa comunità arrivano Adriano a Gemma, una giovane coppia in attesa del loro primo figlio. La loro scelta, come quella degli altri componenti della comunità, è quella di far nascere il bambino fuori dalla società e in condivisione con altri ragazzi che stanno provando questa esperienza. Ma ben presto si troveranno confrontati con un dolore nuovo, sconosciuto e fortissimo che dovranno affrontare e superare.

Il microbudget a disposizione si nota (la scenografia è ridotta all’osso e le location sono poche, ma comunque suggestive), anche se il regista Claudio Casale ha fatto un buon lavoro aiutato dalla tecnologia e da una buona mano nella direzione degli attori. In fondo il budget a disposizione è bastato per far passare un messaggio antimaterialista e più vicino alla spiritualità e per mostrare una società diversa da quella nella quale viviamo. Una società alternativa che, come dice lo stesso regista, non è neppure essa perfetta: “Nessun luogo può accogliere le sfumature imperfette che vivono in ognuno di noi, se prima non siamo noi stessi ad accettarle. Solo allora, forse, si può ricevere un nuovo dono, magico e inaspettato”.

Nulla di nuovo, per carità. Nulla di davvero originale né nella storia (non sono poche le produzioni che hanno trattato questo tema), né nelle scelte formali (neppure gli inserti onirici, seppur d’effetto, possono essere visti come una scelta originale). Ma comunque un’opera prima che si fa guardare e che, come detto all’inizio, mette in luce ancora una volta (è anche la protagonista de La bella estate) la bravura della giovane Yile Yara Vianello.