Nadia Fares, la regista di Big Little Woman (nelle sale della Svizzera italiana in questi giorni) è piuttosto brava a immergere lo spettatore nel “suo” Egitto. E ci riesce grazie a una narrazione ben costruita e a un ritmo che passa dalla modernità agli eventi storici in modo naturale. Così facendo descrive la situazione femminile di un tempo ma anche quella odierna. Ma non solo, perché grazie alla storia delle lotte delle donne possiamo capire meglio le politiche e sociali di un’intera nazione nel corso del tempo. Quando, infatti, il presidente Nasser liberò l’Egitto dal dominio coloniale negli anni Cinquanta e Sessanta liberò anche le donne dai vincoli più duri imposti dalle tradizioni patriarcali del Paese. In proposito è celebre il suo discorso – riportato anche dalla regista – nel quale disse al consigliere generale dei Fratelli mussulmani a proposito dell’obbligo di portare il velo: “Se voi non riuscite a far portare il velo a una sola figlia, che per di più è la vostra, come potete pensare che riesca io a far indossare il velo a 10 milioni di donne egiziane?”
Fares riesce a immergere lo spettatore in quel clima soprattutto seguendo le parole chiare e dirette e i ricordi di Nawal El Saadawi (1931-2021), la celebre intellettuale femminista che, attraverso i suoi scritti e le sue opere, è riuscita a farsi conoscere nel mondo. In particolare, parla del periodo roseo con la rivoluzione di Nasser e di quello più difficile con l’arrivo al potere di Sadat. In quegli anni il suo attivismo e i suoi scritti di denuncia della pratica della mutilazione genitali femminili la portarono a essere licenziata dal Ministero della Salute. Le sue difficoltà arrivarono al culmine nel 1981, quando venne imprigionata per aver infranto la “legge della vergogna”.
Nawal El Saadawi è una delle protagoniste di Big Little Woman, ma anche altre donne, più giovani e di questa generazione, cercano di seguire il suo esempio e diventano protagoniste dal film. In che modo? Anche grazie a un oggetto simbolo come la bicicletta. Infatti, in quel paese, per una donna andare in bicicletta è un atto trasgressivo. Sedersi su una bicicletta e pedalare è prima di tutto una minaccia all’integrità dell’imene e quindi c’è il rischio di una tragica svalutazione della donna da sposare. Chi vorrebbe una moglie la cui la cui verginità fosse in dubbio? La bicicletta è anche una metafora: costringe a pedalare per continuare ad andare avanti. Infine, è un mezzo efficace e universale per farsi strada nelle strade caotiche del Cairo.
Ma la pellicola non parla solo dell’Egitto. Interroga anche la Svizzera. Infatti, a cavallo fra gli anni ’50 e ’60 la madre della regista incontrò Abdelghany Fares, egiziano giunto in Svizzera per completare i suoi studi di farmacia. I due si sposarono e dalla loro unione nascerà, nel 1962, Nadia. All’insaputa di tutti, i nonni materni di Nadia fecero espellere il padre dal Paese, lasciando la moglie sola in Svizzera con la bambina, distruggendo così la famiglia. Un atto di accusa non solo verso i genitori della madre, ma anche verso un sistema elvetico che non ostacolò quell’espulsione.