Il mito è un elemento fondamentale della nostra vita. Come ci ha ricordato uno dei pensatori più grandi del secolo scorso Mircea Eliade, esso “dà valore e significato al mondo e alla vita. L’uomo non può vivere senza miti; meglio: non può vivere senza un sistema di pensiero mitico, che integri in sé stesso l’intero fenomeno dell’esistenza”.
Questo concetto mi è tornato in mente alla visione di Antigone, film presente nel concorso Young di Castellinaria. E infatti la regista canadese Sophie Deraspe parte dal mito del classico di Sofocle per modernizzarlo e renderlo attuale anche nei temi.
Protagonista è Antigone, una giovane immigrata dall’Algeria, che vive in Québec con una sorella, due fratelli e la nonna. Antigone si troverà a lottare contro la legge e la morale per difendere l’integrità della famiglia dopo che il fratello Eteocle, affiliato a una banda di origine araba, viene ucciso dalla polizia nel corso dell’arresto dell’altro fratello, Polinice. Anche se la condotta di Polinice non è delle più specchiate, Antigone sente forte il dovere di tornare a unire una famiglia che ha già subìto la crudeltà della storia.
E quindi dovrà scegliere tra la società (avere la cittadinanza canadese e quindi una nuova patria) e la famiglia (salvare il fratello dalla prigione). Ed è molto interessante osservare Antigone combattere come un guerriero senza paura, arrivando sino a sostituirsi al fratello in carcere. Una battaglia alla base dello scontro tra individualismo e collettivismo, tra bene comune e scelta personale. All’interno di esso si innesta un moderno concetto di rivolta sociale. Come ha ben sottolineato Roberto Monassero “La sua trasformazione in una carcerata a capo di una comunità di individui (le compagne di prigionia) fa dell’eroina non più una figura solitaria e volitiva, ma una forza trascinante, una leader”. E questa azione rivoltosa avviene con il più moderno degli strumenti: il social Tik Tok.
In fondo, il punto centrale del film risiede in un’affermazione della giovane Antigone: “Sono solidale con la mia famiglia ma non mi piace quello che hanno fatto”. Una situazione complessa che probabilmente non ha una vera e propria soluzione. E, infatti, l’ultimo emblematico piano ce lo conferma. L’ultima scena vede i poliziotti che stanno portando la famiglia in prigione, uno dietro l’altro, e noi li seguiamo in questa triste marcia. Antigone, a un certo punto, si ferma e guarda indietro verso la macchina da presa. Con gli occhi fissi verso di noi: nell’ultimo sguardo (e il riferimento ai 400 colpi di Truffaut è lampante) a interrogarci tutti quanti.