È un tuffo negli anni 90 quello che ci obbliga a fare Pierre Monnard con Platzspitzbaby. Il famoso ritrovo dei tossici, famoso in tutta Europa, è il luogo in cui inizia il film che però poi si sviluppa altrove, e più precisamente in un sobborgo nella Svizzera interna. Il regista racconta la vita di una figlia di quell’ambiente e della madre, dipendente dalla droga.

Il film – presentato alle Gornate di Soletta – si ispira al libro Les enfants du Platzspitz di Michelle Halbheer e Franziska K. Müllerche che ebbe un grande successo in tutto il Paese, quando fu pubblicato nel 2013.

Mia, cerca in tutti i modi di aiutare la madre, per la quale il processo di disintossicazione si presenta irto di ostacoli e terribilmente duro. La ragazza, invece, è alla ricerca di una strada diversa e alternativa. Prova a sopravvivere malgrado tutto; fa amicizia con un gruppo di coetanei e inizia un corso di teatro. Si crea un mondo tutto suo dove sviluppare la propria personalità e dove la madre non entra.

Il punto di vista del film ce lo dà quindi la ragazza, mentre la domanda che sta alla base del film è la seguente: che cosa siete disposti a sacrificare per salvare la persona che amate di più? La risposta per l’11enne sembra chiara: tutto. E infatti la dipendenza verso la madre, come quella della stessa mamma verso gli stupefacenti, sembra essere inscalfibile. Ma, come detto, Mia trova delle ancore di salvezza per non annegare. E la metafora dell’acqua si combina alla perfezione a questo lungometraggio. Mia troverà infatti il coraggio per tuffarsi da un altissimo ponte ferroviario per scommessa e, poco dopo a riemergere vittoriosa. Proprio come una generazione di giovani è riuscita a riemergere da quegli anni bui e a lasciarsi alle spalle gli anni 80 e 90 e il famigerato Platzspitz.

Da segnalare la performance della giovane Luna Mwezi che è stata scelta in un casting affollato e che vide la partecipazione di un centinaio di ragazze. Convincente e adeguata alla parte, anche per la somiglianza con la protagonista del libro Michelle Halbheer. Così come degne di nota sono le musiche (sia diegetiche sia off) di Matteo Pagamici che durante il lungometraggio entrano ed escono dalla storia come un personaggio secondario.