Un’inchiesta di un’inchiesta che forse non è un’inchiesta. Il film argentino Trenque Lauquen di Laura Citarella sembra un gioco senza un inizio né una fine. Dove a contare davvero è il meccanismo, l’ingranaggio narrativo e metanarrativo.
L’intreccio, in apparenza, è semplice. Laura, un’esperta botanica in procinto di ottenere una cattedra importante, scompare nella campagna argentina. A cercarla sono il suo fidanzato ufficiale Rafael ed Ezequiel, che è stato in più occasioni il suo autista accompagnatore e che in qualche modo si è innamorato di questa donna. Lei, invece, sembra non voler essere ritrovata. A questa vicenda se ne sovrappone un’altra, in un gioco di flashback e flashforward. Si tratta di una relazione amorosa del passato e basata su scambi epistolari erotici, che Laura ha trovato nascosto in alcuni libri.
L’opera, come si diceva, basa molto della sua importanza sulla struttura. E, infatti, è costruita su diversi capitoli che confluiscono in due parti distinte: abbiamo infatti un primo e un secondo capitolo di un paio d’ore cadauno. Ma, rispetto a una serie tv un aspetto è assente: il famoso cliffhanger, l’aggancio tra un episodio e il successivo. Quell’elemento che ti fa restare incollato alla storia anche fino alle ore piccole. Qui non esiste perché non siamo nei paraggi delle serie, ma nel territorio dei film. L’ambizione della regista è quella di restare ancorata al format classico e di non addentrarsi nelle radure delle serie. Del resto, lo dice la stessa regista nelle interviste che ha rilasciato in questi giorni a Venezia: “Questo film fa parte di un’idea più ampia: un gruppo di film in cui lo stesso personaggio vive vite diverse in diverse città della provincia di Buenos Aires. Il primo film della saga s’intitola Ostende ed è il mio primo da regista. Il personaggio – Laura – è sempre interpretato da Laura Paredes. E la regista, io stessa, è sempre Laura. Forse troppe Laura. Ma un’idea centrale percorre l’intera saga: una sorta di Sherlock Holmes al femminile, sperduta nelle città e desiderosa di vivere avventure più di ogni altra cosa”. Ecco, l’ambizione di Laura (la regista o il personaggio?): creare un’opera più ampia e vasta che comprenda diverse altre opere. E, come in questo film, siamo ancora tra le scatole cinesi.
Come si è capito ci sono tante Laura, così come tante donne in Trenque Lauquen. Sono loro le eroine, anche se spariscono dalla scena restano presenti nell’immaginario maschile. Sono ricercate e ambite, inseguite e misteriose. Ancora la regista afferma: “È un film popolato da donne di diverso tipo. Donne che inseguono donne. Detective donne. Donne scienziate. Donne che, per motivi diversi, fuggono”.
E poi ci sono i segreti, i misteri: il non-detto. Perché abbiamo il segreto del cuore di un’altra donna, anch’essa perduta da molti anni; il segreto della vita di un villaggio in campagna, governato da un evento soprannaturale che nessuno sembra percepire, magari sparito nella nebbia di ricordi lontani; il segreto della pianura, che non smette di espandersi e di divorare tutto e il segreto di una presenza che in definitiva è un’assenza.
“Io conoscevo una versione di Laura e tu l’altra”, dice a un certo punto il fidanzato all’amico. Due parti della stessa medaglia che tuttavia non riescono a disegnare un puzzle completo in tutte le sue parti.