Presentato nella sezione Orizzonti To the North, il film del rumeno Mihai Mincan è un tipico film da festival. Di quelli che, purtroppo o per fortuna, non arriveranno nelle sale e che per questa ragione potrebbe anche vincere un premio.

Racconta la classica storia d’immigrazione e del confronto con l’altro. In particolare, mette sullo schermo la storia di un marinaio filippino, molto religioso e che lavora su una nave cargo. Un giorno incontra Dumitru, un giovane clandestino rumeno che tenta di imbarcarsi. Mosso dal fatto che il ragazzo, spaventato, tiene in mano una Bibbia, il marinaio prova a salvargli la vita e lo nasconde.

Si diceva, la classica storia già vista in più occasioni. Anche se, a dire il vero, questa volta un aspetto diverso c’è. Infatti, come si intravede dalla trama i ruoli sono invertiti: questa volta l’emigrante è un europeo e colui che cerca di accoglierlo e salvarlo un filippino.

Anche il viaggio è un tipico topos legato a questi temi. Ma se viene effettuato su una nave cargo taiwanese diretta verso l’America, allora il tutto ha un valore diverso e acquisisce anche un certo interesse.

Interessante quello che dice lo stesso regista sulla genesi del progetto: “Il film è nato da un documentario radiofonico. Una storia accaduta nella primavera del 1996 nell’Oceano Atlantico. Il protagonista era un uomo normale: Joel, un marinaio filippino. Un giorno, mentre era in servizio sul ponte, in rotta verso gli Stati Uniti, scopre un clandestino rumeno. Nel giro di un attimo deve prendere una decisione che potrebbe cambiargli la vita. Denunciare il giovane, mandandolo praticamente a morte certa? O seguire la fede e il cuore, aiutandolo, ma mettendo in pericolo sé stesso e l’equipaggio? Mi sono reso conto in quel momento che questo era il film che volevo girare da sempre. Una storia sulle scelte morali, sulla gentilezza e la compassione, sul coraggio e la paura. Un film che parla della vita”.

A livello formale Mincan usa molti primi piani fissi sui visi dei personaggi (sempre molto intensi ed espressivi) e li alterna con alcuni piani-sequenza piuttosto spettacolari e movimentati. Per esempio, quando sulla nave viene organizzato una festa.

È un film fatto di molti contrasti To The North, dove spesso e volentieri la vittima e il carnefice mutano di ruolo a dipendenza della scena. È anche un’opera filosofica e religiosa, nel senso più ampio del termine. E i monologhi del marinaio (un bravissimo Soliman Cruz già visto in un film di Lav Diaz) ne sono l’emblema più esplicito e potente.

Ma, come detto, tutto ciò non basta per farne un’opera pienamente riuscita. Manca di ritmo, di tensione narrativa e di un po’ di leggerezza. Ecco, anche se il tema è sicuramente importante, il regista forse si prende troppo sul serio.