Nel film Touched, di Claudia Rorarius (Concorso Cineasti del presente, Germania,135’), Maria è un’infermiera strabordantemente grassa a cui è stata affidata la cura di Alex, un paziente divenuto paraplegico in seguito a un incidente. Tra i due nasce una storia imperniata sulla reciproca scoperta sessuale e sul crinale della loro difficile condizione di persone marginali.

Riporto qui di seguito il monologo immaginario dei due protagonisti tra la seconda e la terza scena, ovvero ciò che il film non dice subito dopo il loro primo incontro.

Alex: «Quando è entrata non l’ho vista: i miei occhi erano chiusi e tali volevo che restassero. Certo so che si trovava sul mio lato destro: ne sentivo l’odore ma non volevo vederla. Poi però li ho aperti e l’ho vista in tutta la sua sesquipedale vastità. Essere qui, in questo dannato ospedale per mostri, non è stata una mia scelta, tuttavia il suo corpo largo come una scialuppa di salvataggio ha acceso in me il vecchio istinto. Sarà stato il candore della sua pelle o le sue labbra macchiate di corallo e profumate di Big Babol. I suoi capelli rilucono come un morbido lenzuolo e il suo petto è una terra promessa. Un desiderio che mi dà speranza e mi spaventa. Merda!».

Maria: «I suoi occhi all’improvviso si sono aperti. Sono occhi singolari, a mandorla per forma e colore. Si sono subito allontanati da me e allora io ho avvertito inesorabile il bisogno che tornassero. Da quando sono uscita da quella stanza, Alex è diventato il mio unico argomento di conversazione davanti allo specchio. Venire a lavorare in questo ospedale per casi disperati sapevo che mi avrebbe potuto annientare o salvare. Oggi avrei dovuto parlargli di più, invece mi sono limitata a fissarlo mentre lo lavavo, lo imboccavo, lo spostavo dal letto alla sedia a rotelle e dalla sedia a rotelle al letto. Sono state diverse le volte in cui ho carpito i suoi pensieri sul mio culo enorme. Alcune volte mi guardava senza dissimulazioni di sorta: occhi a mandorla pieni di abisso.

Prima di lasciarlo, stasera, l’ho scoperto assorto a fissare il muro. Sapeva che ero nelle vicinanze, eppure non si muoveva. Poi ha fatto un impercettibile movimento, presumibilmente per consentirmi di congedarmi e allora mi sono avvicinata.».

Quando l’ultimo titolo di coda è scomparso e le luci si sono accese, il Palacinema aveva un’aria segnata dalla loro storia. Ho osservato il lucore del sole entrare dalla porta che dà sul retro della sala e mi è piaciuto pensare che quello di Maria per Alex (vedere il film per sapere di cosa parlo…) non sia stato né un gesto di debolezza né un desiderio di fuga da sé stessa, ma un ultimo atto di cortesia. Una presa di consapevolezza contro la dimenticanza e l’angoscia.