Tra I papabili per la Palma d’oro c’è sicuramente Parasite del coreano Bong Joon Ho. Non certamente una sorpresa sulla Croisette, piuttosto una conferma.
La cifra di Parasite è quella dell’amara ironia. Il tema è quello della disparità di classe. I protagonisti sono i membri della famiglia Ki-taek: tutti disoccupati, tutti un poco scapestrati, ma con un arguzia e un’intelligenza che solo chi si trova in quella condizione possiede. A poco a poco riescono a farsi assumere (chi come insegnante dei figli, chi come domestica e chi come autista) dalla famiglia Park: ricchi borghesi che abitano in una villa moderna.
Il regista è riuscito in un’impresa molto difficile: far divertite e far pensare. Lo ha fatto grazie a una sceneggiatura impeccabile, senza un attimo di sbavature e senza cali di tensione. E grazie anche a una fotografia pulita, classica e lineare. Soprattutto ha messo in scena un congegno narrativo che si sviluppa di minuto in minuto, senza forzature né banalizzazioni.
Ci sono delle scene che valgono un premio come quando il ricco imprenditore confida a sua moglie che il nuovo autista puzza. «Sai quella puzza che senti nelle metropolitane». Insomma, la puzza della povertà.
Anche il lavoro sullo spazio si rivela molto interessante. La villa moderna, infatti, nasconde un sotterraneo grigio e buio. Dove succedono cose inenarrabili. Ed è soprattutto grazie a questa divisione tra il sopra e il sotto che il messaggio di Bong Joon Ho diventa ancora più chiaro e definitivo.