Siamo a Shemroon, a nord di Teheran in Iran. Iman e suo fratello minore, Payar, vivono insieme al padre. Dopo la morte della madre, Iman cerca una via d’uscita da una vita difficile. Grazie ad alcuni legami avvia un’impresa per realizzare un rapido profitto. Quella che a prima vista sembra un’opportunità per un nuovo inizio si trasforma in un circolo vizioso che tuttavia influenza il destino della famiglia.
Presentato alla 70esima edizione del San Sebastian Film festival è la pellicola d’esordio di Emad Aleebrahim Dehkordi, (Tehran, 1979), il quale aveva diretto quattro corti: 1388-Undo (2010), Phill (1390) (2011), Lower Heaven (2017) and Cavalière (2020).
Con una mano abbastanza sicura e prediligendo i piani fissi il regista iraniano si cimenta con le difficoltà del lungometraggio e l’operazione si rivela abbastanza riuscita.
Si resta sul filo del realismo per quasi tutta l’opera, anche se qua e là non mancano alcuni accenni al mistero e al sovrannaturale. Ne è l’emblema una delle prime scene nella quale viene investito un falco dal protagonista. Una sorta di presagio o di augurio che lo accompagnerà lungo tutto il suo percorso personale e che in qualche modo viene ripreso da un sogno.
Anche il ritmo tiene bene (anche se non mancano alcuni momenti superflui) grazie alla convincente prova attoriale dei due protagonisti principali e di personaggi secondari ben assortiti. Così come regge la fotografia e il tappeto sonoro funzionale alla drammaturgia cinematografia.
Non male per un’opera prima e soprattutto per un regista mediorientale che cerca di far cinema in un Paese che, come sappiamo, non è sempre molto aperto all’arte (vedi il caso Asghar Farhadi).