Un regista come Wang Bing (Xi’an, Cina, 1967), vincitore, fra gli altri premi, del Pardo d’Oro al Locarno Film Festival 2017, può e deve essere collocato nell’avanguardia assoluta della cinematografia attuale.
Con lui, parlare di cinema diventa un discorso alle radici dell’atto stesso di fare film, valicando, di fatto, la separazione tra reale e finzione e raccontando dall’interno i vissuti di una popolazione a confronto con la Storia del proprio paese.
Nei suoi film il regista si confronta con esseri umani relegati ad un vissuto di miseria e solitudine, pagando il prezzo di una politica statale dittatoriale, disumana nei confronti del diverso e ai limiti dell’assurdo.
Wang Bing si pone di fronte ad una temporalità reale, mostrando in tutta la sua imponenza il tempo che passa.
Trovo importante confrontarsi con il suo lavoro, nella misura in cui il cinema è un linguaggio in grado di raccontare, denunciare ed esteriorizzare esperienze e pensieri comuni benché vissuti in situazioni molto differenti.
Partendo dal suo unico film di finzione, I Dannati di Jiabiangou (2010), film che nella sua preparazione durata anni e composta da centinaia di interviste per ricostruirne i vissuti, si può rispecchiare la metodologia usata anche per i suoi documentari, Wang Bing rimette in scena la prigionia di molti uomini nei campi di lavoro forzato poiché considerati dissidenti del regime.

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