Vortex, l’ultimo film di Gaspar Noè proiettato domenica 8 agosto in seconda serata in Piazza Grande, è un film semplice e complesso al tempo stesso. Semplice perché descrive in modo minuzioso il quotidiano di una coppia di anziani alle prese con problemi di salute che rendono difficili anche le cose apparentemente più banali come l’uso della parola, o la regolarità del battito cardiaco. Complesso perché ci fa avvertire il dramma di questo quotidiano che sembra lentamente naufragare verso il disorientamento identitario, verso l’incomunicabilità di un mondo che, in un vortice asfittico, perde i suoi punti di riferimento senza trovarne di nuovi. Vortex (che si avvale, fra l’altro, della prova attoriale di Dario Argento) è anche un film sulla famiglia, che racconta senza compromessi la fatica di vivere nell’assenza di speranze da agguantare. Optando per uno stile assai sobrio, quasi documentaristico, Gaspar Noè non rinuncia però ad alcune trovate stilistiche che marcano in modo decisivo l’impianto estetico-narrativo del film: come quella di scindere lo schermo in due riquadri separati, uno split screen che di fatto divide le azioni dei due personaggi in percorsi distinti, aumentando così il senso di incomunicabilità e di frammentazione dei loro mondi percettivi. O, ancora, alcune riprese panoramiche e inserti cromatici decisamente psichedelici, che sembrano ricondurci alle esperienze extra-sensoriali del precedente Enter the Void (2009). Di certo Vortex propone un’idea di cinema d’autore che interroga, prima di tutto, lo spettatore. È un film impegnativo, ambizioso, vagamente enigmatico, forse anche un po’ irritante: in poche parole, un film da festival.