Scritto da Arianna Vietina e Elisa Biagiarelli
(originariamente pubblicato su http://peppermindsblog.it/tff36-capitolo-3/)
Il Torino Film Festival 2018 è finito, ma noi abbiamo ancora qualche parere da condividere sui film che abbiamo visto. Purtroppo data la quantità di film e l’impossibilità di fare analisi approfondite (considerando che gran parte dei lettori non hanno visto i film) anche oggi ecco delle pilloline per orientarsi, in attesa di ulteriori approfondimenti.
Vultures di Börkur Sigþórsson
L’Islanda porta in concorso un crime movie denso e cupo, di cui vediamo protagonisti due fratelli e una ragazza ingaggiata come corriere per un carico di cocaina. Ben costruito e sorprendente, questo film vuole catapultare lo spettatore in un mondo sotterraneo dove tutti agiscono solo per il proprio interesse. Non parliamo però di una regia interessante.
3
Trevico- Torino di Ettore Scola
Non veniamo a raccontare una novità dicendo che Ettore Scola è stato un regista che con straordinaria capacità ha saputo raccontare l’ordinaria poesia che si può scoprire anche nelle situazioni più difficili. Un film che segue le vicende di un giovane immigrato nella Torino della Fiat con una semplicità e al tempo stesso un’accurata scelta di momenti e battute che racchiudono in questo gioiellino la complessità vissuta in quegli anni, e ancora oggi ci fa pensare a cosa è cambiato e cosa no. Un’esperienza che personalmente mi ha lasciato col batticuore, in quanto ritratto nostalgico e attuale insieme.
Ash is Purest White di Jia Zhangke
È usuale nel cinema cinese usare il background crime del jianghu per innestare un discorso più profondo sulle relazioni umane, e Jia Zhangke ha dimostrato più volte di sapersi destreggiare in questo contesto. Questo è un film che matura lentamente, in cui gli equilibri variano sensibilmente nel ridotto tempo della pellicola rispetto alla durata quasi ventennale degli eventi narrati. Sebbene possa lasciare spiazzati in diversi momenti del racconto dobbiamo riconoscere che in parte è perché quella che vediamo non è la nostra cultura, più aggiungiamoci che non si tratta di un film didattico bensì di una piccola prospettiva sulla storia cinese attraverso una contrastata relazione.
4.5
Santiago, Italia di Nanni Moretti
Atteso documentario di Nanni Moretti che intervista diversi rifugiati politici cileni emigrati in Italia negli anni 70 dopo il golpe. L’intento di ricostruzione di quella storia arriva sottilmente a puntare il riflettore sulla nostra storia, sull’Italia e su come è cambiato il suo atteggiamento nei confronti degli immigrati. Moretti non è un regista di documentari e si vede, tecnicamente la struttura è lineare e semplice, con scelte di montaggio a mio parere discutibili. Ma attraverso le domande e la sequenza dei racconti Moretti raggiunge infine il suo postulato, nell’unica immagine in cui compare: “Io non sono imparziale”.
The Unthinkable di Victor Danell (as Crazy Pictures)
Questo film incrocia la storia di una famiglia a pezzi con un attacco terroristico alla rete elettrica svedese. Sebbene disseminato di difetti, come ad esempio una divisione troppo netta tra la prima parte drammatica e la seconda action dal ritmo martellante, questo film è da ricordare per la sua audacia. Non teme di rappresentare la violenza, domestica e poi su larghissima scala, si lancia nello sviluppo di situazioni tensive e spinge al massimo fino all’ottenimento dell’effetto opposto, un assurdo che ha strappato al pubblico anche numerose risate. Ricchissimo impiego di mezzi ed effetti speciali che vuole creare un una metafora dei rapporti umani dilaniati dalle incomprensioni ma alla fine diventa due ore di corsa incredula attraverso quello che credevamo fosse “impensabile”. Soprattutto nel panorama svedese.
I do not care of we go down in history as barbarians di Radu Jude
Una giovane regista rumena sta mettendo in piedi uno spettacolo riguardante il ruolo dell’esercito sotto il comando di Antonescu nello sterminio degli ebrei. Girato come se una spia seguisse la regista nella sua quotidianità questo film costruisce un dibattito sulla memoria e sulla coscienza storica, attraverso numerose e lunghe sequenze di dialogo in cui la ragazza difende la sua linea di pensiero da chi vuole modificare la sua piecè. Un film dirompente dove si vuole mostrare come vengono messe in discussione le realtà storiche e politiche, ma anche i ruoli, i generi e ciò che si può mostrare o meno a un pubblico, dalla nudità alla violenza esplicita. La visione è stata come immergersi in un fiume. Mentre si è all’interno tutto ha un senso, si dipanano dei concetti, ma riportarli poi lucidamente in superficie è molto difficile.
Piercing di Nicolas Pesce
Si è dibattuto tantissimo su questo film, tra chi lo ha amato, chi lo ha trovato scontato. Tratto da un racconto di Ryū Murakami questo film è un opera piccola, già dalla durata di 80 minuti, che però non ha pretese. Tutto ruota intorno al protagonista ossessionato dal desiderio di uccidere qualcuno, più precisamente pugnalandolo, “bucandolo”. Il suo sogno potrebbe avverarsi quando incontra Jackie, ma naturalmente le cose non andranno come sperava. Molto divertenti gli escamotage di messa in scena, l’uso del suono e del montaggio, ma purtroppo il film, forse anche per la sua brevità, manca di un terzo atto, di una conclusione compiuta. Questo è probabilmente il difetto più grande, nonostante sia attutito da battute a effetto.