Far iniziare il 72esimo festival di Cannes a un film di genere, anzi di zombi, è stata una sfida. Ma Jim Jarmusch con The dead don’t die l’ ha vinta.

Siamo in una ridente cittadina, Centerville, a very nice place – recita il cartello di benvenuto (con i suoi 387 abitanti) – e tutto sembra procedere tranquillo e con calma. Fino a quando la tv dà la notizia che l’asse terrestre si è spostato. Da quel momento tutto cambia: gli animali sembrano sparire nel nulla e soprattutto muoiono, a uno a uno, i tranquilli abitanti di Centerville. L’indagine di polizia è condotta dallo sceriffo (un Bill Murray molto tranquillo pure lui), dal suo aiutante (Adam Driver torna a Cannes un anno dopo il film di Spike Lee) e dalla collega (Chloè Sevigny). Dalle ferite dei cadaveri capiscono (prendendosi tutto il tempo) che qualcosa di strano è successo e iniziano a pattugliare la cittadina alla ricerca degli zombi.

Il film ha diverse linee narrative secondarie. Anzitutto può essere visto come un grido d’allarme verso l’agire dell’uomo sulla natura. Ma anche come un urlo di rivolta verso una certa inerzia generale che stiamo vivendo. La tranquillità di ogni gesto, di ogni azione, in quel paese è disarmante.

Alla proiezione stampa ci sono state diverse risate soprattutto quando gli zombi, uscendo dalle loro tombe, ricercano gli oggetti ai quali erano stati attaccati in vita: con gli smartphone vagano alla ricerca del wifi, oppure vediamo l’ubriacona che vuole la bottiglia di Chardonnay.

E per rendere ancora più ironico il tono del film, il tutto è accompagnato da lampi metacinematografici. Dove gli attori rompono la famosa quarta parete e si rivolgono agli spettatori. In questo senso la colonna sonora del film con un pezzo country di Sturgill Simpson, che torna come un mantra durante la proiezione e sul quale i due poliziotti fanno battute, ne è l’emblema.