Beating Sun (Tant quel le soleil frappe) – il primo lungometraggio fiction di Philippe Petit – è ambientato in una Marsiglia urbana e popolare. Presentato nella Settimana della critica veneziana ha diverse qualità e qualche piccolo difetto, a dimostrazione dell’elevato livello di questa sezione festivaliera.

La trama in breve: Max è un paesaggista e vive a Marsiglia. Combatte per creare un giardino selvaggio in un luogo trascurato. All’età di 40 anni, la realizzazione di questo progetto si trasforma in un’ossessione che sconvolgerà la sua vita e il suo sogno, ben presto, si rivelerà essere un’ossessione.

Interessante quello che afferma a proposito del soggetto lo stesso regista. “Il mio film esplora un personaggio in una situazione di stallo e il modo in cui cerca di ridisegnare il suo paesaggio interiore per non abbandonare le sue ambizioni. Ho voluto ancorarlo al mondo degli architetti del paesaggio perché sono al centro delle questioni di reinvenzione dello spazio urbano, di transizione ecologica e sociale. Queste professioni mettono in discussione l’uniformità che condiziona lo sviluppo delle nostre città e, oltre a questo, le nostre mentalità. Il paesaggista è inoltre legato quasi inscindibilmente ad un’altra figura, quella del giardiniere. Quest’ultimo si evolve in prima linea nella natura e svolge un ruolo decisivo perché è lui che la plasma. I suoi gesti, i suoi strumenti e i suoi veicoli sono per me questioni cinematografiche forti e singolari”. Dunque, è anche un film legato allo spazio e alla vita delle persone dentro questo spazio. E dove la natura ha un ruolo importante all’interno di questo spazio. In proposito, è piuttosto interessante notare che è un film popolato anche da molti genitori e soprattutto figli. Ha una figli il protagonista e anche il calciatore Djibril Cissé che cerca di convincere a fare da testimonial per il progetto urbano. Figli che sono gli adulti di domani e quindi le persone che potranno usufruire del nuovo parco urbano.

Lo spettatore viene immerso in questa realtà e a poco a poco ne comprende le ragioni e fa il tifo per Max. Anche se la sua visione è idealista e anche ossessiva. Me lo comprende, spera che il suo entusiasmo riesca a far breccia nei cuori degli speculatori. Ecco, forse uno dei piccoli difetti è proprio nella divisione, un po’ innaturali tra buoni e cattivi, tra idealisti e speculatori. Ma anche questa piccola pecca è perdonabile grazie a un’ottima tensione narrativa. Una tensione data dall’entusiasmo di Max e dal fatto che la camera non lo abbandona mai, gli siamo tutto il tempo alle costole; lo seguiamo nelle sue ricerche e facciamo il tifo per lui.