Jake porta la fidanzata Lucy a conoscere i suoi genitori, residenti in una casa di campagna. Sopraggiunta la sera, la coppia decide di ritornare in città: il viaggio si interrompe per una sosta alla vecchia scuola del protagonista maschile. Questa è la trama su cui si regge il terzo e ultimo lungometraggio di Charlie Kaufman, sceneggiatore balzato agli onori della cronaca dopo la prima collaborazione con Spike Jonze, Being John Malkovich. Si tratta di un plot molto semplice, a tratti scontato, che potrebbe tranquillamente costituire l’ossatura di una commedia romantica hollywoodiana. Questa narrazione è caratterizzata da una forte struttura, essendo infatti divisa in tre atti e un epilogo: il viaggio di andata in macchina, la cena con i famigliari di Jake, il ritorno in automobile e la sosta finale al liceo. Tuttavia, il regista inserisce in questa linea narrativa una serie di continue e progressive dissonanze, volte a sconvolgere pian piano la trama e la fruizione da parte dello spettatore: dissociazioni tra i pensieri e la voce di Lucy durante il viaggio in macchina verso la casa in campagna, ricorrenza di scene ripetitive a mo’ di loop temporali (ad esempio, il cane che si scuote il pelo all’infinito), passaggio dal genere romantico all’horror durante l’atto centrale (evidenziato dall’ambientazione, una casa in campagna isolata con uno scantinato minaccioso, oltre che dai suoni inquietanti che la popolano), distorsioni temporali che si verificano soprattutto durante la cena con i famigliari di Jake (come l’improvviso e non motivato cambio del look della ragazza o l’invecchiamento e ringiovanimento dei genitori di lui), inquadrature poste da punti inusuali e stranianti o perché la macchina da presa riprende da un angolo non frontale, oppure perché antepone degli oggetti fra se stessa e i personaggi (ad esempio, le insistite inquadrature dalle scale che filmano gli scorrimani in primo piano lasciando gli interpreti sullo sfondo ritagliati fra gli angoli delle scale). Questo inserimento di elementi dissonanti e disturbanti, data la mancanza di spiegazione all’interno della narrazione che ne giustifichi la comparsa, diviene via via maggiore, aumentando sempre di più e progressivamente scollando la rappresentazione da un sostrato reale per rivolgersi verso un ambito surreale. In particolare, l’epilogo è la chiave di volta per la comprensione del film, dato che in quest’ultima parte prende avvio una deriva totalmente onirica e latamente lynchiana del lungometraggio, che si scosta fortemente dalla trama precedente per mostrare visioni apparentemente scollegate le une dalle altre, come balletti, cartoni animati tratti da jingles pubblicitari, parti cantate e apparizioni sempre più insistite del bidello della scuola, di cui si erano viste in precedenza alcune scene completamente svincolate dalla trama principale. Ne risulta che tutto il film è leggibile come un ricordo o un sogno riguardante la propria vita passata da parte di un ormai senile protagonista maschile che svolge il mestiere di bidello.