Selezionato alla Biennale di Venezia 2025, Songs of Forgotten Trees è l’esordio alla regia di Anuparna Roy. Il film racconta la storia di due giovani donne che condividono un appartamento a Mumbai, affrontando il tema della sopravvivenza e della ricerca di connessione in una grande città. Thooya, un’aspirante attrice che fa occasionalmente la prostituta, affitta una stanza del suo appartamento a Swetha, una donna con un lavoro d’ufficio. Le due, pur provenendo da mondi diversi, iniziano a condividere lo stesso spazio e a sviluppare un’empatia silenziosa, mentre le loro storie personali e le loro ferite riaffiorano.

La regia è misurata e riflessiva. La scelta di utilizzare spesso inquadrature fisse e composte con elementi di ostacolo (sbarre, vetri, controluce) è efficace nel trasmettere un senso di clausura e osservazione distaccata. Le scene in cui le protagoniste sono riprese in ambienti separati ma all’interno della stessa inquadratura sono tra le più riuscite, creando un dialogo visivo che sopperisce alla scena scarna verbalmente.

Le performance di Naaz Shaikh (Thooya) e Sumi Baghel (Swetha) sono naturali e sicuramente credibili. Il film, tuttavia, privilegia l’atmosfera e la composizione dell’immagine all’approfondimento psicologico dei personaggi, che a tratti rimangono figure più simboliche che realmente esplorate. Il ritmo è volutamente lento e contemplativo, una scelta che può risultare un po’ faticoso per parte del pubblico.

Il film affronta temi come l’alienazione urbana, le disuguaglianze di classe e le diverse forme di sopravvivenza femminile. In questo senso la contrapposizione tra gli spazi angusti della città e le sequenze più aperte e luminose di ambienti naturali è chiara nel suo intento metaforico.

Songs of Forgotten Trees è un’opera d’esordio coraggiosa e dalla forte identità visiva. La regista dimostra una notevole padronanza della composizione dell’immagine, usando lo spazio per raccontare gli stati d’animo. Tuttavia, la narrazione sacrifica lo sviluppo dei personaggi in favore di un’atmosfera a tratti eccessivamente ieratica, anche se molto elegante e con un’ottima padronanza della macchina da presa. Ci troviamo comunque davanti a una firma registica già matura e profondamente consapevole, che trasforma una storia di vita quotidiana in un poema visivo sulla condizione femminile in India. Ma il tutto, alla fine, risulta un po’ freddo e poco empatico.