L’onestà verso sé stessi e verso il tuo partner è il concetto che sta alla base di Slow, il film della giovane (classe 1991) talentuosa lituana Marija Kavtaradze, presentato in questi giorni al Sundance Festival.

Un interprete della lingua dei segni viene chiamato ad assistere un’insegnante (Elena) in una scuola di ballo durante un corso per ragazzi sordomuti. E sin dal primo sguardo, tra i due, nasce un’intesa fuori dal comune. Un rapporto che vediamo costruirsi e consolidarsi di minuto in minuto, fino a quando lui dice di essere asessuato e di non avere desiderio sessuale per nessuno: in quel momento c’è un attimo di smarrimento da parte della ragazza la quale cerca di passare oltre e di vivere l’amore nella sua forma meno carnale.

In contrapposizione a questo aspetto, proprio la carne, il corpo, è uno dei motori del film. La camera, infatti mostra il corpo allenato dalla danza di Elena in ogni minimo dettaglio: i muscoli, le contusioni, l’elasticità, il sudore, la forza, ecc. Mentre di Dovydas si vede soprattutto il viso dolce, comprensivo, attento ed empatico.

È la stessa regista a spiegare di che cosa tratta la pellicola. “È una storia d’amore in cui i personaggi cercano di non farsi guidare da nessuno rappresentazione di come dovrebbe apparire l’amore. Per me Slow riguarda diversi bisogni fisici e come essi condizionano il rapporto, il rapporto con il proprio corpo, le aspettative che abbiamo, i ruoli di genere in relazioni, la necessità di ottenere l’approvazione attraverso il desiderio e il sesso”.

Il tema potrebbe facilmente far cadere la narrazione verso il voyeurismo, ma la regista è brava a mantenerne le distanze pur stando vicino ai personaggi: “Tutte le scene, anche se intime, sono lì per una ragione: mi hanno aiutato a raccontare una storia sulla loro relazione e lo hanno fatto senza malizia”.

Interessante, sotto un altro livello, la scelta di usare la lingua dei segni. Da un lato è il motore iniziale che li avvicina, d’altro lato è un linguaggio molto poetico e che ha a che fare anche con la danza e in fin dei conti con l’asessualità. “In qualche modo mi ricorda come non sempre siamo in grado di accettare le persone così come sono e a volte scegliamo di credere che possano cambiare grazie a noi” evidenzia ancora l’autrice.

Slow è quindi un film da osservare, malgrado la sua semplicità, sotto diversi punti di vista e che mette in gioco la conoscenza dell’altro, la sua comprensione e soprattutto, come detto all’inizio, l’onestà.