Sibel è muta ma comunica con gli altri attraverso dei fischi. Vive con la madre e la sorella in un paesino sulle montagne turche. Un luogo in cui le tradizioni sono la base della società. Chi disonora la famiglia è emarginato dalla comunità ed è visto come un paria. Sibel è una ragazza con una grande grinta e soprattutto ha un obiettivo: cercare e uccidere un lupo, una figura (reale o immaginaria) che regna nei racconti delle donne del paese. Per questo si aggira sempre nei boschi con un fucile a tracolla.

Un giorno incontra un uomo che si aggira minaccioso nella foresta. Con lui ha una lite furibonda e lo ferisce. Da lì inizia un’avventura che scopre i nervi scoperti della famiglia, della comunità e di un Paese come la Turchia che deve ancora fare i conti con la modernità.

Il film (di Guillaume Giovanetti e Cagla Zencirci) è riuscito. La camera, come quella dei fratelli Dardenne (e gli stivali rossi di Sibel potrebbero essere un omaggio a quelli di Rosetta) è attaccata a Sibel. Non la molla un attimo. E questo, come nei film dei fratelli belgi, crea una bella tensione narrativa. Lo spettatore segue le avventure della ragazza e si appassiona alla sua psicologia e al suo modo di comunicare. Fino alll’ultima scena: rivelatrice e ottimista.