Proiettato durante il Locarno Film Festival, in Piazza Grande davanti a migliaia di persone, Semret (l’opera prima della ticinese Caterina Mona) sarà visibile nelle sale dalla Svizzera italiana nei prossimi giorni.

Questa la trama in breve. Semret vive con la figlia Joe in un piccolo appartamento a Zurigo, lavora in un ospedale e studia per essere ammessa alla formazione di levatrice. La giovane madre fa di tutto per assicurare alla figlia adolescente una vita migliore di quella lasciata alle spalle in Eritrea. Quando Joe inizia a fare pressione per sapere di più sulle sue origini, Semret deve confrontarsi con il proprio passato, e la vita protetta che si è costruita in Svizzera minaccia di disintegrarsi.

Per approfondire le varie tematiche abbiamo voluto intervistare la regista, Caterina Mona, la quale sarà presente alle prime ticinesi della sua opera.

Caterina, come è nata l’idea del film?

Il film è partito dalla mia esigenza di mettere sullo schermo una questione che mi sta a cuore e cioè quella del trauma e di come viene vissuto e trapassato da una generazione all’altra. È un tema che mi interessa e che voglio sviluppare ancora nel prossimo film. Inoltre, negli anni scorsi, ho anche vissuto in una cooperativa a Zurigo, insieme ad alcune famiglie eritree e da quel momento ho pensato che sarebbe stato bello e importante sviluppare una storia con una protagonista eritrea. Quindi ho seguito queste due esigenze e le ho assemblate nella figura della protagonista.

Perché l’ambientazione zurighese?

Perché è l’ambiente che conosco meglio e nel quale ho vissuto quella esperienza. È sicuramente una Zurigo che si riconosce, ma non è così esplicita e in realtà potrebbe essere qualsiasi città del Centro Europa.

Il popolo eritreo è discreto e silenzioso, come la protagonista. È una scelta ragionata questa?

Sicuramente ho conosciuto donne eritree che ho trovato molto interessanti con i loro modi di muoversi delicati e la loro innata gentilezza. Volevo una protagonista che avesse quelle caratteristiche ma che fosse anche un po’ solitaria. Lei, infatti, non è davvero integrata nella comunità e anzi è la figlia a fare da anello di congiunzione con gli altri eritrei; mi interessava questa disconnessione con la comunità, con la propria cultura e che fosse la figlia a sanarla.

Ci sono molti temi che affiorano nel film (il legame famigliare, l’emigrazione, la violenza, l’integrazione, ecc.), non hai mai pensato fossero troppi?

No, perché il tema centrale, alla fine, è il rapporto tra la madre e la figlia. E tutti gli altri aspetti che si intravedono e si sentono fanno parte del personaggio e della sua complessità. Lei porta sulle sue spalle questi temi in modo naturale e non sono stati aggiunti artificialmente.

La tensione narrativa, che si avverte dall’inizio alla fine, è anche frutto del tuo lavoro da montatrice?

Ho avuto una montatrice molto brava (Noemi Preiswerk) che mi ha aiutato molto nella costruzione del film e con lei siamo riusciti a trovare un bel ritmo. Per molto tempo avevamo una versione del film di 100 minuti, ma alla fine siamo riusciti a tagliarla di 15 minuti e questo ha fatto emergere gli aspetti che mi interessavano di più e ha accelerato il film, mantenendo lo stesso una certa lentezza che era importante per me perché lascia spazio al pubblico per riflettere.

Che cosa ti ha spinto a fare il passaggio dal montaggio alla regia?

Il lavoro di montatrice mi piaceva e mi piace ancora, non cercavo necessariamente la regia. Tuttavia, ero anche molto aperta a nuove esperienze e a un certo punto sono nate alcune idee che ho voluto mettere nero su bianco. C’è stato un momento particolare che mi ha spinta in questo senso ed è stato quando ho smesso il mio lavoro per fare uno stage di tre mesi come ostetrica in ospedale. Un’esperienza bellissima e molto interessante. Appena terminata emersero alcune figure, alcuni personaggi dai quali sono partita per costruire il film.

A Locarno sei stata scelta per la Piazza Grande. Che emozione è stata?

Già essere scelti dal festival è stato magnifico e in quei giorni mi sono davvero divertita. Mi sono sempre trovata a mio agio con il pubblico e i giornalisti e ho avvertita molta energia molto positiva attorno a me e alla mia troupe.

Hai dei punti di riferimento tra i registi?

Sicuramente Loach, Arnold e i fratelli Dardenne, e in particolare Audiard e il suo film Dheepan, ma poco tempo fa sono tornata nella casa di famiglia di Ambrì, e ho ritrovato un libro su Kiarostami. Così mi sono ricordata del mio amore per quel regista. Credo di essermi ispirata anche a lui, per esempio nel seguire un personaggio che ha un suo percorso evolutivo.

È anche un film molto politico…

Senza dubbio, in questo senso si inserisce nel solco dei film sociali con un fondo politico importante, come li realizzano i registi citati sopra.

Hai altri progetti in corso?

Qualche tempo fa avevo iniziato a lavorare ad una nuova sceneggiatura quando per un lutto famigliare ho dovuto interrompere. Poi è arrivato il festival di Locarno e fino alla fine dell’anno monto il nuovo film diretto da Simon Jaquemet quindi il progetto al momento è fermo. Ma sono felice di poter continuare a lavorarci appena posso perché mi interessa molto, come detto all’inizio tratta ancora del trauma.

Che cosa pensi del fatto che negli ultimi anni molte più donne si stiano dando alla regia?

In Svizzera questa crescita la sento già da un po’ di tempo. Fra i più bei film degli ultimi 10-15 anni una gran parte sono realizzati da donne come Andrea Staka, Milagros Mumenthaler, Ursula Meier, Klaudia Reynicke ecc., le quali portano una visione diversa da quella maschile. Per me, per esempio, è stato molto più difficile scrivere il ruolo maschile del film rispetto a quello femminile. Le sensibilità e le esperienze sono diverse e quindi lo sguardo femminile arricchisce il cinema ed è molto importante che le storie siano variegate, anche dal punto di vista culturale e non solo per una questione di genere.

Ricordiamo che Semret è prodotto da Cinédokké e Cineworx Filmproduktion Basel in coproduzione con la RSI, ed esce in Ticino il 15 settembre. Ma ci saranno anche due anteprime alla presenza della regista, martedì 13 settembre alle 20.30 al Lux di Massagno, mercoledì 14 settembre alle 20.30 all’Otello di Ascona e mercoledì 21 settembre al Cinema Teatro di Blenio ad Acquarossa.