Quando un autore trova la propria maniera di raccontare il mondo e le sensazioni che ne trae da esso, benché si possa sempre evolvere, cambiare, fare qualche eccezione non gradita a tutti, l’oggettività nel confermare la forza di tale autore non può essere che confermata.
Certo, le tematiche affrontate non sempre trovano conforto nella visione di tutti ed anzi, turbando siamo sicuri che muovano qualcosa all’interno di ognuno, ma a voler o saper fare un passo indietro, ci liberiamo e sentiamo abbastanza integri dal poter considerare l’opera dell’autore come pregna di senso.

A posteriori, rivedendo e rileggendo i film di Sean Baker, regista (nato dalle braci anche in svariate altre vesti di sceneggiatore, cameraman, montatore,…) americano attivo dal 2000, mi ritrovo a guardare dall’esterno un’opera che sì, possiamo considerare tale, ma che allo stesso tempo manca in maniera quasi totale di organicità.
Rendermi conto di questo fatto mi ha lasciato non un senso non di delusione, bensì di meraviglia. Essere un autore di film allo stesso tempo consistente raccontando l’inconsistenza e la frammentarietà della società. Essere un autore di film con una propria visione e attraverso cui poter individuare una linea logica e dei pattern precisi – se non precisissimi – e al contempo raccontare l’inenarrabile, ovvero quella normalità distrutta di un mondo periferico aggressivo ma sorprendente, sfarzoso – che tenta in tutti i modi di emanciparsi sapendo perfettamente di non avere chance. Tutto ciò in una scrittura che riesce a consegnare allo spettatore realtà estremamente complesse.

I film di Sean Baker offrono un’analisi emotiva, eppure così tangibile, del tessuto sociale americano in disfacimento. Immergendosi in una sfera neorealistica, Baker umanizza e dà voce a comunità emarginate spesso mal rappresentate o del tutto ignorate.

L’industria del porno e del sesso sono spesso leganti dei personaggi a cui Baker dà voce, ma al posto di inquadrare una condizione umana spesso facilmente descrivibile in maniera snaturalizzante, i personaggi – spesso femminili – di queste storie non mancano di un’autodeterminazione irriverente e difficilmente fratturabile.

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