Sauvages è l’ultimo film di Claude Barras che è stato presentato dapprima a Cannes lo scorso maggio e poi all’ultimo Locarno Film Festival con una proiezione in Piazza Grande. Un’animazione che succede al grande exploit de La mia vita da zucchina, il suo primo lungometraggio, coronato da due César francesi e una nomination all’Oscar.
L’opera è ambientata nell’Isola del Borneo, nel sud-est asiatico. Kéria, una bambina di 11 anni, vive ai margini di un’immensa foresta tropicale e un giorno trova e adotta un cucciolo di orango, rimasto solo perché sua madre è stata uccisa dai dipendenti di un’azienda che intende deforestare quel luogo. Nel frattempo, la sua giovane cugina Selaï viene a rifugiarsi a casa di Kéria per sfuggire al grave conflitto sorto tra la sua famiglia e le compagnie di legname. Da quel momento bambini e animali combatteranno per fermare la distruzione della foresta.
A Locarno abbiamo avuto l’occasione di incontrare il regista con il fotografo Roberto Pellegrini. Ecco quello che ci ha detto.

Signor Barras, perché questo soggetto? Come l’ha immaginato?
Il titolo ha un doppio significato: da un lato richiama a un aspetto violento e brutale, ma d’altro lato anche a un aspetto libero e forte. Mentre per quanto riguarda il soggetto volevo concentrarmi sul nostro rapporto con la natura e il primo personaggio che mi è venuto in testa è quello della piccola scimietta che viene adottata dalla ragazza. Ho subito pensato che fosse un ottimo mediatore per una riflessione sul nostro rapporto con la natura.

Ha usato, come ne La mia vita da zucchina, la tecnica dello stop motion. Cosa le piace di questo modo di filmare?
Mi piace molto la creazione collettiva che offre questa tecnica. Anche se io sono il direttore artistico di ogni tappa (e sono state 350 le persone che hanno lavorato sul progetto durante sei anni), non si sa davvero dove si sta andando e anche questo aspetto mi ha sempre molto affascinato. Ma soprattutto c’è questa energia collettiva che lo porta avanti e che lo costruisce di giorno in giorno.

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