Scritto da Arianna Vietina e Elisa Biagiarelli (originariamente pubblicato su: http://peppermindsblog.it/tff36-capitolo-2/)
The man who stole Banksy di Marco Proserpio
Prova di grande coraggio per questo esordiente italiano. Un film che nasce già con un respiro internazionale, in quanto girato tra Gerusalemme, Londra, Copenhagen, Los Angeles e avendo come protagonisti uno degli artisti più famosi e controversi del contemporaneo. Con una piccola troupe e l’aiuto di numerosi artisti ed esperti di arte Proserpio ricostruisce la storia di un muro che è stato rimosso, imballato e venduto su eBay. Per quanto assurdo possa sembrare questo è un destino capitato a numerose opere di Bansky e di molti altri street artist, e questo film ne racconta non solo le peripezie ma il dibattito che questa operazione a confine con la legalità comporta: a chi appartiene l’opera? Possiamo davvero conservarla in un museo? Dove sta il giusto e sbagliato? Il tutto condito con un ritmo audace, scandito da musica battuta e dalla voce graffiante di Iggy pop. Un prodotto veramente diverso, distributori accorrete ad accaparrarvelo.
High Life di Claire Denis
Fantascienza dark alla Black Mirror osservata spiando da uno piccolo spiraglio. Non è un film che si vuole spiegare davanti ai nostri occhi, bensì ci suggerisce diversi elementi che aiutano a costruire una serpeggiante sensazione di inquietudine. Come avevamo notato per The Nightingale di Jennifer Kent a Venezia 75 anche qui ci sono tanti elementi che rivelano la femminilità dietro la macchina da presa. Pur essendo debitore dei grandi classici del genere questo film è molto diverso nell’impostazione, nei tempi e nei temi, al punto da piegare al suo volere anche le leggi dello spazio.
Dovlatov di Aleksey Germany Jr
Vincitore dell’Orso d’Argento per il miglior contributo artistico al Festival di Berlino 2018, si tratta di un film biografico che racconta alcuni giorni nella vita di Sergei Dovlatov. Uno scrittore alle prese con le restrizioni del sistema politico e culturale russo, che combatte per poter essere pubblicato. Intorno a lui un ambiente pieno di artisti, poeti e scrittori che cercano una via per esprimersi liberamente. Tra questi anche Joseph Brodsky, costretto ad emigrare per non finire in prigione e vincitore poi del Premio Nobel per la letteratura nel 1987.
Un’opera intensa, piena di lunghe sequenze ricche di personaggi e dialoghi sull’esistenza con una regia molto semplice perché il focus è tutto sugli attori e sulle loro parole. Più che guardare un film sembra di leggere un capitolo di un romanzo russo.
Bad poems di Gábor Reisz
Reisz aveva già colpito con il suo film precedente For some inexplicable reason,che toccava gli stessi temi che troviamo qui: protagonista romantico senza speranza, un amore finito, la confusione nel non capire cosa si vuole fare della propria vita. Il film è costellato di piccoli momenti magici, che decostruiscono i meccanismi della funzione cinematografica strappando un sorriso. Il film però risulta un po’ troppo dispersivo, disincantato, un po’ troppo leggero.
Ride di Valerio Mastandrea
Esordio alla regia di Valerio Mastandrea, questo è uno dei film più attesi della stagione e inoltre unico italiano in concorso al TFF36. Punti a favore molti, a cominciare dalla storia che esce dal solito seminato caro all’Italia, però toccando i temi della mafia e del dramma familiare sottilmente. Anche il sarcasmo che vi troviamo è più raffinato rispetto alle solite battute da commedia, pur mantenendo il suo tono tutto italiano. E’ un film senza pretese, in cui la presenza di Mastandrea è palpabile anche senza comparire mai. Purtroppo l’asticella resta comunque bassa, anche se come prima prova è molto dignitoso.
Pity di Babis Makridis
I fan del cinema greco contemporaneo qui ritroveranno numerosi elementi ormai cult di questa filmografica: gli spazi nitidi e puliti, personaggi grotteschi e surreali, svolte inaspettate e un pizzico di terrore. Questo secondo film del regista è stato co-sceneggato con Efthymis Filippou, già messo alla prova con tutti i film di Lanthimos da Dogtooth a The Killing of a Sacred Deer. E’ un film riconducibile perfettamente alla produzione di Lanthimos, ma anche a Miss Violence di Avranas, costruendo una distorsione dalla realtà partendo dal desiderio di pietà e arrivando a una profonda dialettica tra il dolore e il piacere che ne deriva. Sicuramente uno dei film più interessanti che abbiamo visto in concorso finora.