Già vincitore della Palma d’oro a Cannes quindici anni or sono con 4 mesi, 3 settimane e due giorni, Cristian Mungiu ha presentato a questa edizione un altro lavoro meritevole di attenzione intitolato R.M.N. e che ha quale focus la questione identitaria.
Per farlo usa un piccolo villaggio della Transilvania e i suoi abitanti confrontati con l’arrivo di lavoratori dello Sri Lanka. Ma iniziamo dallo strano titolo del film: l’abbreviazione sta a indicare “Rezonanta Magnetica Nucleara”, vale a dire la risonanza magnetica. Infatti, Otto, il padre del protagonista Matthias, effettua una risonanza magnetica per capire la causa della sua narcolessia che gli sta rendendo impossibile il lavoro quotidiano come pastore.
Ma, come detto, l’attenzione del film è rivolta principalmente alla questione identitaria. Mungiu mette in scena un villaggio xenofobo alle prese con gli immigrati per ragionare sul ruolo dell’intera Nazione all’interno dell’Unione Europea. I rapporti del suo Paese con l’Ue sono piuttosto complicati e forse, le aspettative sono andate nel tempo un po’ disilluse. Ecco perché la comunità messa in scena (stanca di promesse al vento e di benessere mai arrivato), seppur comunque composta da ungheresi, zingari, rumeni e tedeschi non accetta altri arrivi e si dimostra razzista. Stranieri, del resto, assunti regolarmente dal panificio industriale, unica industria rimasta nella zona.
C’è molto altro nel film di Mongiu, dal rapporto tra il Matthias e il figlio Rudi (il quale non parla a causa di uno spavento) a quello che ha con le sue donne: l’ex moglie e l’amante. Donne che, per un motivo o per l’altro, si sono allontanate da un protagonista violento, lontano, scontento e infelice. Ma c’è pure il piano metaforico, rappresentato dalla minaccia implicita ed esplicita (al villaggio) degli orsi. Animali che, tuttavia alla fine, forse sono meno bellicosi di molti umani che attraversano il film con violenza e ignoranza.