Quando pensi che i film sui viaggi nel tempo ormai siano roba vecchia, un amico ti risponde con una semplice ed enigmatica parola: Primer. Lo cerchi, lo trovi e lo guardi, rendendoti conto di essere in ritardo di anni e che c’è qualcuno che nel 2004 ha realizzato qualcosa di nuovo, folle e sconcertante.
Basta qualche secondo per farti subissare da un montaggio frenetico, delirante. Tagli come ghigliottine, il tempo maciullato in mille frazioni scomposte e riformate solo dallo sforzo immane dello spettatore. Prodotto, scritto, diretto, montato, musicato e interpretato dallo stesso trentaduenne, Shane Carruth, un matematico con gravi tendenze cinematografiche. Mai doppiato in italiano, vincitore del Gran Premio della giuria per il miglior film drammatico al Sundance Film Festival e opera prima di quello che è stato definito da Soderbergh come il legittimo erede di David Lynch, Primer ci risucchia nella vita di Aaron ed Abe, due giovani ingegneri, che durante la progettazione di un dispositivo antigravitazionale si rendono conto di aver creato per caso una macchina del tempo. Questo dispositivo, un’enorme cassa, è in grado di riportarti indietro per il tempo esatto in cui resti al suo interno. Questo comporta ovviamente un lasso di tempo nel quale l’io del futuro e del passato convivono nel medesimo tempo. I due iniziano immediatamente a vedere le possibiltà economiche che hanno disposizione, come giocare in borsa conoscendo già l’andamento del mercato. Concentrandosi unicamente sulla loro avidità, però, non si avvedono delle conseguenze fisiche ed etiche che un viaggio dopo l’altro stanno provocando, creando una moltitudine di parelleli temporali, alterando se stessi e i loro io passati.
Carruth travolge i suoi protagonisti con il fattore caso, genesi di quasi tutte le grandi scoperte, blindandoli in bare dove devono perdere tempo per guadagnare tempo, dove dall’alto delle loro menti geniali si scoprono soggiogati dal loro giocattolo ipertecnologico, vittime della loro mediocrità primitiva diventano dubbiosi, diffidenti, meschini e incapaci di comprendere che quella macchina creata per correggere l’errore umano è incapace di correggere l’errore più grosso: l’essere umano.