La distopia ecologista va per la maggiore, in questi ultimi tempi, in Francia. Se lo scorso anno a Cannes era stato presentato Le Règne animal, che ebbe un buon successo anche al botteghino, quest’anno Venezia propone Planet B. Presentato in apertura alla Settimana della critica, il film di Aude Léa Rapin è sicuramente accattivante nel continuo passaggio dalla realtà virtuale a quella reale, ma non sorprende.

Siamo in Francia nel 2039 e un gruppo di attivisti, che sono ricercati dallo Stato, scompare senza lasciare traccia, nel nulla. E al loro risveglio si trovano in una villa sul mare, un luogo che ben presto scoprono essere una prigione dorata.

Come ha messo in evidenza Beatrice Fiorentino (la delegata della Settimana della critica), “è un film sulla libertà, sull’uguaglianza e sulla sorellanza (la fraternité dei nostri giorni). Che si sviluppa sui due piani: da un lato le strade di una metropoli del futuro incendiate dalla rivolta. D’altro lato una prigione virtuale di cui nessuno conosce le regole”. È un film che si interroga “sui principi etici che governeranno le nostre vite nel futuro”.

L’idea, alla base di questo film, è piuttosto chiara e va nella direzione nota, usuale, scontata del politicamente corretto. L’uomo adulto, in generale, è cattivo e vuole distruggere il pianeta, mentre sono solo pochi giovani idealisti che tentano di salvarlo. Nulla di nuovo sotto il sole, nulla di davvero innovativo e fuori dai luoghi comune di questa epoca woke.

Si salva, come sempre, Adèle Exarchopoulos (tra l’altro anche protagonista de Le Règne animal) che riesce a dare al personaggio una forza, un senso di smarrimento costante adatto alla vicenda che sta vivendo. Aiutata anche dall’altra protagonista e cioè Souheila Yacoub, l’attrice svizzera che tiene molto bene la scena e fa da controparte nella vicenda.

E se la narrazione non sorprende, il passaggio continuo tra le due realtà, seppur ben realizzato e forte dal punto di vista visivo (dagli ambienti cupi della città a quelli chiari e luminosi della prigione dorata), alla fine rischia di essere un boomerang. Il troppo stroppia, dicevano i nostri nonni.