Il formato breve, o medio, è storicamente fucina di ricerca e originalità. Uno spazio di sperimentazione dove esprimere con stili narrativi e formati innovativi la propria arte cinematografica. Una sezione giovane, con registi agli esordi. Una sezione dove scovare i talenti di domani. Qualche nome interessante da ritrovare, magari tra qualche anno, in concorso nella sessione cineasti del presente o, perché no, addirittura al concorso internazionale.

Tra i Pardi di domani, negli anni, si sono visti cortometraggi con guizzi davvero piacevoli, di quelli che ti fanno vibrare e sperare in un talento nascente, così come film che ti fanno venir voglia di lasciare la sala anzitempo. E questo, devo ammettere, è qualcosa che me li ha sempre resi assai intriganti. Un po’ come essere sulle montagne russe dove passi attraverso una paletta variegata di emozioni. Ma in queste ultime edizioni, il turbinio di sensazioni inebrianti è andato scemando.

Difficile urlare al capolavoro e altrettanto impossibile puntare il dito contro la ciofeca. Si sta sempre più affermando un’omogeneità. Film che per forma, realizzazione e costruzione narrativa tendono ad avere lo stesso livello, a volte perfino le stesse tinte. Certo ognuno con le proprie sfumature, il proprio stile, ma per chi, come me, brama un’emozione davvero sconvolgente, ahimé, la delusione è tanta.
Alcuni tratti comuni: i temi dove l’intimità, la sessualità e il disagio sociale la fanno da padrone e la mancanza di dialoghi, sostituita da voci fuori campo o interazioni scritte.

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