L’Estremo Oriente ha sempre avuto un forte magnetismo su di me. È un fascino strano, difficile da definire. Ha a che fare con la curiosità del diverso e con la tranquillità e il rigore che avverto in quella cultura così lontana. Un Paese lontano e sconosciuto, ma con una cinematografia altrettanto importante di quella europea e americana. All’inizio degli Anni Cinquanta il Paese è appena uscito da un devastante conflitto mondiale e da due bombe atomiche che lo hanno messo in ginocchio. È il periodo della ricostruzione e dell’alleanza con gli Stati Uniti. Proprio dagli USA l’industria cinematografica nipponica, negli anni precedenti la guerra, ha acquisito alcune caratteristiche importanti. Prende esempio nel formare personale specializzato e nella suddivisione della produzione in generi. Ma soprattutto, con l’aiuto di alcune case di produzione (che si occupano di distribuire e gestire le pellicole), il Giappone controlla il mercato nazionale. Un sistema già in vigore da diversi decenni e simile a quello hollywoodiano, che ha permesso a molti registi di crescere e formarsi. Tra di essi una personalità spicca tra le altre: quella di Yasujiro Ozu.
È diventato in poco tempo un regista tra i più noti e apprezzati nel suo Paese. L’Occidente, invece e per motivi legati alla distribuzione dei film giapponesi all’estero, ci ha messo qualche anno in più a scoprirlo.

Soprattutto dagli Anni Quaranta la sua poetica e il suo stile si fanno più chiari e unici. I suoi film diventano così belli che un regista come Wim Wenders, oltre ad aver girato un documentario su di lui (Tokyo Ga), ha detto: «La cosa più simile al Paradiso che io abbia mai incontrato è il cinema di Ozu». Insomma, quando ci troviamo davanti a lavori di questo regista, siamo al cospetto di un’opera d’arte con la A maiuscola. L’ineluttabilità dello scorrere della vita, insieme al cambiamento dei sentimenti umani e al carattere effimero dei fenomeni terreni, sono un topos del regista. Il regista giapponese, nel corso della sua carriera, mette a punto un proprio modo di filmare. E probabilmente nella Storia del cinema, mai nessun altro prima e dopo è riuscito a personalizzare e caratterizzare un’opera come lui.

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