La nuova sezione della Berlinale Perspectives (che vede in lizza 15 opere prime e che si chiuderà con la consegna del premio Alfred Bauer) vede tra i vari film in concorso anche un’opera belga di tutto rispetto: On vour croit.

Il dolore familiare, o meglio quello di un presunto abuso da parte del padre verso i figli, è il tema di questo progetto realizzato dalla coppia Charlotte Devillers e Arnaud Dufeys.

Siamo in un tribunale e si deve decidere l’affidamento dei figli. A confrontarsi sono Alice (la madre) e l’ex marito. Con loro i rispettivi avvocati e il rappresentante legale dei minori. Il tutto o quasi (circa un’ora) si svolge in un’unica sala, davanti a una giudice che – dopo aver sentito le varie parti – deve scegliere le sorti dei due ragazzi.

Il film è molto semplice, ma altrettanto solido e compatto nello svolgimento. Semplice, si diceva, ma solo in apparenza, perché se ci si fa caso gioca molto con i fuori campo. Soprattutto con le espressioni di chi non parla in quel momento. E quindi ascoltiamo le parole dell’ex marito e osserviamo il fastidio sul viso della madre. La stessa cosa succede a parti inverse e quando parlano gli avvocati. Si punta davvero parecchio sulle smorfie, le reazioni di fastidio e di rabbia di chi, in quel momento non può parlare, ma solo ascoltare.

Certamente, il punto di vista principale è quello della madre (molto credibile Myriem Akheddiou) e i suoi primi piani sofferenti restano in testa agli spettatori per molte ore dopo la visione. E anche i sentimenti di vicinanza che si provano sono molto forti. Quindi, siamo dalla sua parte per tutto il film – malgrado la verità su quanto sia successo non è ancora stata accertata – e speriamo che la giudice sia empatica quanto lo siamo noi.

A livello tecnico i registi hanno spiegato come sia stato realizzato il nucleo centrale del film, girato in un solo giorno. “Questa scelta è scaturita da diverse considerazioni. In primo luogo, volevamo che gli attori sperimentassero l’immediatezza di un’udienza reale, di un’udienza reale, dove c’è una sola possibilità di presentarsi. Questo approccio ha permesso agli attori di recitare con intensità, reagendo spontaneamente all’ignoto. Per gli avvocati, che non avevano mai recitato davanti alla telecamera, si è evitato di ripetere le riprese. Anche il budget limitato e il calendario sono stati fattori determinanti: girare la scena centrale in un’unica ripresa continua con tre telecamere ci ha permesso di completare l’intero film in soli 13 giorni”. Quindi è stata sia una scelta economica sia una questione stilistica e di ricerca di verità che sicuramente dato buoni frutti. Vediamo se sarà sufficiente a convincere i giurati.