La maglietta a righe, un jeans e lo sguardo curioso, parigino e divertito. Ma anche un atteggiamento molto cordiale e gentile. Così ci è parso Olivier Assayas quando lo abbiamo incontrato a Locarno per questa intervista. Una giornata calda, soprattutto per lui, visto che di lì a qualche ora, con gli altri membri della giuria, avrebbe scelto i vincitori della 70esima edizione del Locarno Festival.
Assayas proviene da una famiglia legata al cinema. Suo padre (Jacques Rémy), infatti, è stato assistente di alcuni grandi cineasti dell’epoca come Max Ophüls, Georg Wilhelm Pabst e Marcel L’Herbier. Sin dalla sua infanzia ha sentito il bisogno di lavorare in questo ambiente e ci è riuscito abbinando il lavoro sul set a quello davanti alla macchina da scrivere. Gli inizi della sua carriera sono infatti contraddistinti da alcuni cortometraggi e dal lavoro ai Cahiers du Cinéma, la più importante rivista francese di critica cinematografica. Ha quindi abbinato la scrittura al lavoro di regia. Un’esperienza che, come ci ha confermato, gli è poi stata utile durante tutta la sua carriera.
Tra i suoi film più importanti ricordiamo Irma Vep (1996), Les Destinées sentimentales (2001), Carlos (2010), Sils Maria (2014) e Personal Shopper (2016).

Cosa ne pensa della polemica scoppiata di recente a proposito delle piattaforme come Netflix?
«Non è una polemica nuova. Personalmente mi aveva coinvolto quando girai Carlos per Canal+. In quell’occasione il presidente del festival di Cannes dell’edizione del 2010, Gilles Jacob, mi aveva detto che sarebbe andato in concorso, ma poi dopo aver avuto pressioni del CdA, mi ha richiamato dicendomi invece che sarebbe stato presente solo fuori concorso. Da un lato fu frustrante per me, ma alla fine non ha cambiato nulla perché quella pellicola è stata accolta molto bene dal pubblico. Credo anche, senza falsa modestia, che se fosse stato in concorso avrebbe avuto delle chance per ricevere dei premi. Penso che il CdA abbia avuto paura che un film prodotto per la tv vincesse in una rassegna cinematografica. È un ragionamento che non capisco molto, anche perché non sono stato l’unico caso in questo senso. Ricordo Elephant di Gus Van Sant, un film prodotto per la rete americana HBO che ha vinto la Palma d’oro. All’epoca non causò nessun problema».

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