In questo ultimo periodo, una notizia in particolare ha rimbalzato tra i vari giornali e notiziari di tutto il mondo: il resoconto finale delle «morti eccellenti» avvenute in questo cosiddetto «annus horribilis 2016 dello spettacolo», molte delle quali legate al cinema.
Ma perché una tale informazione ci tocca così da vicino? Se si pensa, per esempio, alla scomparsa di Alan Rickman di potrebbe dire, parafrasando Il Bardo: «Chi era Rickman per noi o noi per Rickman?» Semplicemente un attore di indubbio grande talento ma per la maggior parte, nel concreto, niente di più di un volto incorniciato in un rettangolo.
Ma forse questi, da David Bowie a Carrie Fisher, passando per Michael Cimino, sono qualcosa di più che semplici lutti di Star. Ne è la prova il fatto che questi avvenimenti non hanno colpito solo le vecchie generazioni, cioè i testimoni diretti della nascita e dell’esplosione di questi personaggi emblematici, ma anche e soprattutto generazioni più recenti, come la mia.
In qualche modo, le nuove generazioni sono state forse ancora più colpite perché private improvvisamente di quelle figure leggendarie e mitiche del passato che rappresentavano ideali, sogni e romantiche ribellioni sociali. Emozioni e sentimenti che disperatamente desideriamo e cerchiamo anche nel nostro tempo e che, non riuscendoli a trovare, abbiamo inconsciamente preso in prestito dal passato. Ma ora improvvisamente ci siamo trovati, in poco tempo, a perdere molti di quei nomi senza che però vi sia un rimpiazzo moderno di pari valore che possa sostituirli.
Un sentimento curioso, sintomo forse di quella generazione liquida postulata da Baumann e di quella guerra spirituale lapidariamente proclamata in Fight Club. Siamo figli di un tempo dove lentamente stiamo perdendo i nostri genitori putativi spirituali, sentimentali, intellettuali.
Ci sentiamo orfani e, guardando al futuro, forse anche un pochino sperduti.