Ammetto, lo conoscevo solo di nome e fama Caetano Veloso. Non sapevo praticamente nulla. E allora mi ha incuriosito e l’ho scoperto in un valido documentario intitolato Narciso em féries. Un ritratto intimo di un periodo particolare. Siamo nel 1968 e il regime brasiliano lo preleva da casa sua a San Paolo e lo incarcera. Senza nessun commento e soprattutto senza nessuna spiegazione. Viene messo in cella d’isolamento per una settimana e poi rinchiuso in un’altra cella a Rio De Janeiro. Ci sta per due mesi che lo segnano per tutta la vita e che finiscono in alcuni brani successivi.
Cinquant’anni dopo ne parla in questo documentario rigoroso ed essenziale. Camera fissa su di lui seduto su una semplice sedia, dietro un muro di cemento armato (a ricordare la prigione) e per un’ora e mezza solo il suo racconto, intervallato da poche richieste di precisazioni dei registi Renato Terra e Ricardo Calil. Un film coprodotto dalla VideoFilmes, di Walter Salles e João Moreira Salles che di documentari se ne intendono. E lui inizia a parlare, in questo flusso di ricordi che non ti molla dall’inizio alla fine. Perché come dice lo stesso coproduttore, quella della semplicità, è stata una decisione programmata. «Si tratta di una scelta sia estetica che morale. Di fronte a tanta violenza, qualsiasi ridondanza sarebbe ingiustificata. Questo è un film sul Brasile, di allora e di oggi. I fantasmi sono tornati», e il paragone con l’attuale presidente Bolsonaro è inevitabile.
Davanti al racconto di quella prigionia e dell’assenza di motivazioni, non serve null’altro se non le riflessioni profonde sulla dittatura, sull’ingiustizia e sulla libertà. In proposito c’è un momento che mi ha particolarmente toccato: quando, finalmente, lo interrogano e gli spiegano le ragioni assurde dell’incarcerazione, sostengono che lui sia un sovversivo socialista. Un’accusa, per Veloso, alla quale risponde senza arretrare di un millimetro. Lui, da sempre convinto liberale.