Il film d’esordio di Vuk Lungulov-Klotz (nella sezione Generation 14plus alla Berlinale) vede quale protagonista un giovane trans che vive a New York. La pellicola prende spunto dalla propria vita di figlio di genitori cileni e serbi e dall’esperienza di transizione per raccontare la storia di un 25enne immerso nella frenesia di una megalopoli.

Il tempo narrativo è di 24 ore, ridotto quindi, ma le emozioni e le vicende che si svolgono nell’arco di una giornata sono molto più ricche e complesse. A cominciare dall’innamoramento di Feña per un ragazzo conosciuto in discoteca, continuando per il rapporto con la sorella adolescente e terminando con la relazione conflittuale col padre che arriva nella grande mela dal Cile.

Già presentato al Sundance Festival nelle scorse settimane, Mutt ha trovato a Berlino la sua prima europea.

È un film urbano e notturno (si svolge soprattutto tra discoteche, bar e appartamenti) e in questo senso ha i toni e i colori abbastanza freddi e artificiali tipici della notte. Contrapposti all’estrema umanizzazione del personaggio e dal travaglio personale che vive.

Il regista ha tenuto a sottolineare che “Mutt è un film sull’essere intrappolati tra due mondi, che si tratti di razza, genere, nazionalità o sessualità. Ma è anche una storia sullo spazio che esiste tra due persone e come ci prendiamo cura l’uno dell’altro mentre lottiamo costantemente per comprendere il nostro passato e presente. Troppo spesso ci spingiamo fuori dalle situazioni perché temiamo il peggio e immaginiamo le aspettative che gli altri hanno per noi. Mutt ci ricorda di chiedere e, in definitiva, ci ricorda che siamo meno soli di quanto pensiamo”.

Il film è interessante e abbastanza intenso grazie alla convincente prova dal protagonista Lio Mehiel. E visto che si basa su fatti autobiografici gli perdoniamo il tema, ormai diventato alla moda e paladino del politicamente corretto.