A questo punto è quasi imbarazzante, per me che scrivo. Per il terzo anno consecutivo mi trovo davanti allo stesso identico film, del solito giovane regista. E per identico intendo proprio identico, non è in senso figurato. Stesso messaggio, ambientazione, soliti personaggi, medesima pioggia. Le inquadrature a camera fissa, che mostrano architetture di periferia dove abita la solitudine, incarnata da immigrati tristi che osservano il mondo cupo che li circonda. Tutti portano i poropri affetti racchiusi in uno schermo di computer o di cellulare. Non cambia di una virgola, naturalmente, anche la fotografia. Una narrazione che è sempre inesorabilmente la solita. Una sceneggiatura ripetuta all’infinito.

E mi dico: se non mi hai colpito la prima volta a maggior ragione non mi colpirai la terza! È un dato di fatto.

Tommaso Donati manca di creatività? Questo mi viene da pensare. L’ha espressa tutta con la sua prima opera e ora tenta disperatamente di replicarla all’infinito. Possibile che non ci sia null’altro da dire sulla realtà che ci circonda? Sull’apatia della società? Eppure il mondo è un luogo ricco di stimoli, di colori, suoni, odori. Si può osservare da tanti punti di vista.

Il mondo di Tommasi, invece, è fatto degli stessi elementi, dello stesso sguardo spento e degli stessi rumori che si espandono come in un eterno loop.

A un certo punto del film un guizzo: il suono accesso e squillante di un telefono. Ma no. Si tratta, purtroppo, di uno spettatore distratto che, con grande imbarazzo (il suo stavolta), pone fine alla nota di colore.

Possibile che chi seleziona i film non si sia accorto della copia, della copia, della copia….?

Peccato.

IL PREGIO: cercatelo voi. Io non l’ho trovato

IL DIFETTO: un incubo dejà vu!