Senza una mitologia che la fonda, la sostiene e la racconta, una società non può sopravvivere né prosperare. Al tempo stesso, come ci hanno insegnato studiosi quali Roland Barthes, Claude Levi-Strauss, Jean Baudrillard e Umberto Eco, il mito è una porta d’accesso per conoscere le sfumature, i pensieri, le paure e i vezzi di un periodo: insomma, per sondarne il mood di un’epoca e, perché no, di un decennio. Ogni decennio, quando passa, prima o poi diventerà mitico. Anche la modernità, infatti, ha la propria mitologia. Una mitologia che spesso e volentieri strizza l’occhio ai mass media, che contribuiscono a crearla, a diffonderla e a commercializzarla. Ma a uno sguardo più attento, critico e curioso, la mitologia della modernità può aiutare a capire come eravamo, cosa siamo diventati e chi siamo ora. E anche, forse, cosa ci riserva il futuro.
Negli anni ’90, per esempio, si affermano fenomeni culturali, economici, e sociali interconnessi quali la globalizzazione, internet, e la telefonia mobile, che hanno dato avvio alla famosa rivoluzione della comunicazione e dell’informazione di cui siamo, oggi, più che mai imbevuti. Coloro che sono diventati adulti negli anni ’90 hanno conosciuto l’evoluzione della cultura audio-visiva attraverso l’emittente MTV. Oltre ai video non stop, che ricordano un po’ lo streaming attuale, molti si ricorderanno anche alcuni prodotti tipici di quegli anni, come per esempio l’MTV unplugged, tanto per citarne uno.

Sono gli anni della Generazione X, locuzione che designa coloro che sono nati fra il 1965 e il 1980. Si tratta di una generazione che ha dato luogo a un’immagine mediatica molto controversa che sussiste a tutt’oggi. Alcuni commentatori ne hanno accentuano il disimpegno, lo stile di vita iperconsumistico, e la conseguente propensione all’edonismo, all’apatia e all’individualismo. Per altri, invece, la Generazione X è stata sinonimo e espressione di intraprendenza, creatività e spirito innovativo, incidendo in maniera indelebile sulla trasformazione delle abitudini mentali, della società e della cultura grazie alle innovazioni tecnologiche di cui sono stati gli ispiratori.

A livello cinematografico, gli anni ’90 coincidono con l’apparire sullo schermo di film che alimentano una presa di coscienza audiovisiva della Generazione X, e che favoriscono lo sviluppo di un discorso autoreferenziale che si affida, oltre che al cinema, alla letteratura, alla musica, e alla moda. Una traccia di questa autoreferenzialità si può trovare, per esempio, nel film Prêt à porter (1994) di Robert Altman, quando la reporter televisiva presenta la sfilata di moda chiedendosi what Generation X is going wear (cosa indosserà la Generazione X) nei mesi seguenti. Negli anni ‘90, poi, si affacciano sullo schermo attori come Ben Affleck, Matt Damon e John Cusak, e attrici come Winona Ryder e Meg Ryan. Fra i registi, giova ricordare nomi quali Quentin Tarantino, Kevin Smith o Richard Linklater.
Se pensiamo a quel periodo e ai film che l’hanno marcato, ci rendiamo conto che il cinema mette a disposizione un medium unico nel fornire un’esperienza immersiva e enciclopedica del passato. Ecco perché rivedendo certi film oggi, ci si immerge di nuovo in un’atmosfera storica, si attivano parti della nostra identità che di quel periodo, delle sue immagini, dei suoi suoni e odori si è nutrita. Allo stesso tempo, quando un libro viene riletto, un film viene rivisto, o una canzone del passato viene riascoltata nel presente, quel libro, quel film e quella musica diventano a loro volta parte integrante del presente e acquistano nuovi significati e nuova rilevanza proprio in questo presente. Rivisitando, e rivivendo dei prodotti culturali degli anni ‘90, o che tematizzano quegli anni, creiamo le condizioni perché un nuovo presente emerga nello spazio d’incontro fra il vecchio e il nuovo. Questo spazio, non a caso, è al centro della definizione della cultura.

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